TRAMA
Johnny vuole fare l’ultimo colpo prima di sistemarsi con Fay: rubare due milioni di dollari dalla ricevitoria di un ippodromo. Sceglie con cura i complici della banda, pianifica tutto nei minimi dettagli ma…
RECENSIONI
Passaggio al cinema professionistico del ventottenne Stanley Kubrick, grazie alla produzione indipendente dall’amico James B. Harris (con aiuto della United Artists). Il modello è il noir Giungla d’Asfalto di John Huston, la fonte un romanzo di Lionel White, i dialoghi audaci e malinconici sono di Jim Thompson: se il racconto in sé sposta di poco il registro di genere, Kubrick rivoluziona il genere con piccoli spostamenti che saranno imitatissimi, scompaginando la cronologia andando avanti e indietro nel tempo (rispettando quindi l’uso dei flashback del romanzo d’origine), curando (come sempre) all’inverosimile la fotografia per restituire i contrasti di luce nel bianco e nero (facendo impazzire Lucien Ballard che dovette illuminare tutte le scene dall’alto), inventando metodi di ripresa inconsueti (carrelli con grandangoli, set in studio senza pareti per giocare con i passaggi di stanza, le riprese in mezzo alla corsa di Alexander Singer, regista della seconda unità) o mutuandoli dall’Orson Welles di Quarto Potere (che, difatti, amò il film), disegnando i personaggi in modo peculiare, da morituri (e, nonostante questo, quando il Fato si abbatte, sortisce il suo effetto in modo potente) e rendendo protagonista la messinscena più di tutto il resto. Volendo, c’è anche un secondo (terzo?) livello di lettura (un personaggio del film fa questo richiamo): il protagonista è l’alter ego del regista che pianifica tutto nei minimi dettagli, da gran professionista ma nulla può contro il Caso (epilogo ripetuto e ripreso da più punti di inquadratura). Questo, come rivela la battuta finale di Sterling Hayden, riguarda la Vita tout court.