TRAMA
1680: nell’isola di Pasqua, la tribù delle “lunghe orecchie” ha schiavizzato quella delle “corte”, costringendola a costruire i Maoi, statue gigantesche. Sboccia l’amore fra due giovani di tribù differenti: per potersi sposare, lui deve vincere la gara dell’uccello, lei stare rinchiusa in una grotta.
RECENSIONI
A suo modo, quello di Reynolds è un progetto anche ambizioso: tenta una ricostruzione “storica” dei misteri dell’Isola di Pasqua e, al contempo, ricrea un microcosmo che additi tutte le società umane che si credono isolate e al centro dell’universo, dominate da superstizioni, lotte fratricide, violenze gratuite alla Natura. L’opera, però, si risolve in un puerile (più che archetipico) racconto con profili disneyani (il re ingenuo, il perfido consigliere…) e risaputo amore impossibile da Romeo e Giulietta (tutto tratto dal romanzo di Leonore Fleischer). Fa venire in mente il Tabù di Murnau, ma la regia di Reynolds non è altrettanto dotata nello sfruttare i luoghi naturali autentici (si limita a qualche dolly e ripresa aerea di normale amministrazione) o i nativi utilizzati come comparse (per i ruoli “parlanti”, invece, sono stati scritturati attori polinesiani) e la sua drammaturgia non riesce a toccare il cuore. La confezione è decorosa (con gigantista ricostruzione dei Maoi), i vuoti nell’esposizione e gli effetti indesiderati sono troppi: alla fine viene da parteggiare più per l’oppresso in cerca di riscatto che per il tonto protagonista; manca del tutto un’esposizione sulle regole della “gara dell’uccello”; la scena in cui il sacerdote rivela al protagonista che l’amata non è più illibata e lui non fa una piega è del tutto inverosimile; l’aulica battuta finale “Ora so perché mio padre è andato via” cade gratuita dal cielo. Curiosi sia il soundtrack di tamburi di Stewart Copeland che i prototipi delle tavole da surf dei nativi. Producono Kevin Costner e Jim Wilson.
