Commedia, Recensione

RADIOFRECCIA

TRAMA

Correggio, anni settanta: una compagnia d’amici decide di fondare un’emittente radiofonica libera. Ivan inizia a drogarsi, Tito affronta con violenza le perversioni sessuali del padre.

RECENSIONI

La vita non è un film: Bonanza, uno dei pittoreschi personaggi che popolano la pellicola, sceglie di vivere la propria esistenza come se lo fosse, mentre il debutto dietro la macchina da presa della rockstar Ligabue (notevole la sua canzone “Ho perso le parole”) cerca di ridere (il gioco del “rimorso”), patire (i fattacci di provincia…), riflettere, incazzarsi e commuoversi come se la vita vera si concentrasse, senza tempi morti, in un'ora e quaranta minuti. L'impronta autobiografica e memoriale (è tratto da due racconti del libro “Fuori e dentro il Borgo”, dello stesso Liga) non vuole ricordare gli avvenimenti affidandosi al solo realismo, da qui le spinte oniriche (i siparietti nel cielo, i colori pop, l’ippopotamo: la vita è colma di eventi surreali) e liriche dell'opera (la pallina che collega Ivan alla propria infanzia), mentre i sapori di una giovinezza ribelle a ritmo di rock, simpaticamente folle e spaesata à la Fandango (oltretutto, nome della casa di produzione di Procacci), solo in apparenza bozzettistica, non dimenticano i tormenti ponderati. Il protagonista, Ivan detto “Freccia”, vive un'esistenza di assuefazioni, fra odio verso la famiglia, droga e amore non corrisposto: il microfono della piccola radio di provincia è per lui uno sfogo (diretto, efficace il suo "Credo"), le uniche certezze le trova nella musica, il calcio, gli amici, qualche "amica". Si ride con l'amaro in bocca, si soffre con un sorriso di riserva insieme con gli ottimi interpreti in questo sorprendente, fresco e altrettanto professionale (notare l’uso dei dolly e la fluidità della macchina da presa) esordio del cantante, coadiuvato alla regia dall'Antonello Grimaldi de Il Cielo è sempre più Blu.