TRAMA
Per il matrimonio di sua sorella Rachel, Kym fa ritorno nella casa della famiglia Buchmann, lasciando il centro di recupero nel quale è ricoverata per tossicodipendenza, portando con sé una lunga storia di crisi personali, conflitti familiari e tragedie.
RECENSIONI
Demme ha dichiarato di essere rimasto molto colpito dai film del movimento Dogma e che nella realizzazione di Rachel si è ispirato ad essi; a parte per l'evidente dato formale e tecnico (l'uso della camera a mano, l'immagine sgranata e tarata propria del movimento inventato da Von Trier), il film si rivela molto europeo soprattutto nello spirito, nelle dinamiche, nell'attenzione al dettaglio psicologico: se è vero che l'opera racconta del malessere che nasce dal milieu familiare, oggetto tipico del cinema indie americano, lo fa d'altra parte con un approccio che è molto differente da quello standard statunitense a cui siamo abituati (e che ricorda molto quello dell'ultimo film di Baumbach che, guarda caso, partendo da presupposti narrativi molto simili - i conflitti familiari che scoppiano allorquando la protagonista decide di andare al matrimonio della sorella -, aveva nell'Europa il suo punto di riferimento cardine) e attraverso una scelta di registro che costituisce una considerevole inversione di tendenza rispetto agli altri prodotti di fiction dell'autore (l'ultimo era The manchurian candidate, dimenticabile remake di Va' e uccidi di Frankenheimer). Si può dire che questo film avvicini Demme a quella libertà e spigliatezza che si apprezzano nei suoi documentari e non sorprende apprendere che, per mantenere alto il grado di naturalezza e immediatezza, l'americano abbia lasciato grande spazio all'improvvisazione degli attori, limitando al massimo le prove e soprattutto non pianificando in alcun modo i punti di inquadratura, dando l'impressione di avere a che fare con il più bel filmino casalingo mai realizzato, come se ogni scena fosse stata catturata su digitale da un amico con una cinepresa o da un fantasma di un personaggio, la cui morte ossessionasse la famiglia (ipse dixit). In questo senso molte sequenze sembrano davvero dei pezzetti di realtà messi su pellicola (il direttore della fotografia Declan Quinn è anche l'operatore principale; nelle scene collettive alcuni invitati usano la digitale - tra questi il nume Roger Corman - aumentando lo spettro dei punti di vista) ed è soprattutto in quei momenti che l'opera prende il volo (penso alla lunga sequenza della cena dopo le prove della cerimonia, alla straordinaria tranche della gara alla lavastoviglie che si interrompe con un'irruzione brusca di un passato che fa ancora male, alla toccante esternazione di Kym al gruppo di ascolto per i tossicodipendenti - la Hathaway fornisce un'interpretazione notevole e incarna in modo perfetto l'instabilità e la fragilità, il risentimento e le intemperanze della protagonista -).
Introducendo la macchina da presa nella congiuntura delicata di una vigilia nuziale, Demme tocca tutti i nervi scoperti di un gruppo di persone ferite in diversi modi, che non hanno mai superato il trauma di un evento luttuoso che ha coinvolto anche Kym, condannandola al senso di colpa a vita, con una madre dura (che trova il suo omologo nell'impietrita genitrice interpretata da Mary Tyler Moore nel caposaldo del cinema intimo-familiare americano, Gente comune di Redford) che accusa anche solo con uno sguardo o una frase smozzicata, un padre che si è consacrato al ruolo sempiterno di pacificatore, una sorella che oscilla tra sentimenti contrastanti. Molto si è detto sulla scelta dell'ambientazione e dei personaggi, si è anche parlato di una sorta di spot subliminale per l'elezione di Obama (con tanto di riferimento al conflitto iracheno), ma se è vero che Demme presenta un modello di famiglia chiaramente (se non platealmente) liberal (un nucleo democratico in tutto, nel quale pare regnare la piena tolleranza delle differenze di razza, sesso, cultura e religione), è vero anche (ed è la cosa che ci preme dire in questa sede) che questa dell'ibridismo sociale e della mistura delle tradizioni e delle etnie è sempre stata la sua cifra: la lunga (splendida) sequenza del banchetto nuziale a suon di ritmi caraibici ci dice moltissimo del retroterra del regista e del suo cinema meticcio (in cui anche il genere è continuamente imbastardito), prima ancora che informarci delle inclinazioni culturali del gruppo familiare oggetto del racconto. Il film (la sceneggiatura, opera di Jenny Lumet, figlia di Sydney, è stata ampiamente sviluppata nel corso della lavorazione), interpretato con convinzione da tutti (un plauso particolare, oltre alla già citata protagonista, va a Bill Irwin e a una ritrovata Debra Winger, nel ruolo dei genitori) pur rispettando i canoni del dramma familiare, lo fa con uno stile di freschezza indiscutibile, tenendo evidentemente presenti anche le lezioni di due maestri americani, Altman e Cassavetes. Notazione finale sulla musica (pallino del regista, un'occhiata veloce alla sua filmografia) che non è mai extradiegetica, ma viene sempre suonata nel contesto narrativo (come Dogma comanda, tra l'altro): la scelta, che scarta il ricorso a un uso tradizionale della colonna sonora (coerente con il modello seguito da Demme del 'filmino di famiglia'), si giustifica narrativamente con la professione dello sposo Sydney (interpretato da Tunde Adebimpe, cantante del gruppo Tv on the radio), quella di produttore discografico, il che legittima la continua presenza dei musicisti nelle scene (Zafer Tawil, Sister Carol East e Robyn Hitchcock tra gli altri).