TRAMA
Rose, con il suo ragazzo Hart, ha un brutto incidente in moto e viene ricoverata in gracvi condizioni in una clinica nelle vicinanze. Qui viene operata dal Dottor Keloid, uno specialista del trapianto cutaneo, che però “utilizza” Rose come cavia per i suoi esperimenti.
RECENSIONI
Rabid è una specie di cripto-remake di Shivers, del quale condivide il presupposto narrativo-teorico di base (la sperimentazione medica che genera mostri), le sue conseguenze (il proliferare di nuovi organi) e la declinazione sessuale dell’infezione (lì era un parassita fallico-escrementizio che induceva appetiti sussuali/aggressivi/omicidi, qui un orifizio ano-vaginale dal quale emerge una protuberanza penica con glande acuminato, pronto a penetrare e vampirizzare la vittima). Simili sono anche l’ambientazione iniziale (il complesso residenziale / la clinica) e gli esiti pandemici dell’infezione, con delle differenze: in Shivers l’azione restava, fino alla fine, confinata in un ambiente chiuso mentre in Rabid ci si sposta presto all’esterno, facendo sì che il film assuma connotati più ordinari, in senso disastroso/catastrofico (il contagio di massa mostrato nel suo farsi). Sono differenze importanti, che innescano dei problemi e fanno emergere dei limiti.
L’impressione è che Cronenberg abbia voluto cercare (già) un compromesso, una quadra tra il suo cinema e un cinema in qualche modo più commerciale e canonicamente horror, uscendone non proprio benissimo. Anche volendo soprassedere su una sceneggiatura improbabile e piena di incongruenze, a partire dall’incidente iniziale (alla fine di una sequenza che sembra raccordata al finale de La Macchina Italiana), passando per i jump scare e le sequenze, come in Shivers, à la “zombie movie ante litteram” (ma con molto di The Crazies), l’effettistica, ma soprattutto la regia e il montaggio, mostrano tutti i loro limiti. La motocicletta che impatta sul furgoncino-trampolino e vola fuori strada sembra un out-take di Chips, nelle sequenze di aggressione ci sono degli involontari jump cut un po’ stranianti nella loro approssimazione grammaticale e, in generale, gli stilemi del genere sono applicati con poca convinzione e poco perizia. E se è vero che, quando affronta il genere, Cronenberg gira e ha sempre girato degli horror-non-horror (discorso vecchio e pure un po’ stantio: il falso giallo di Antonioni, il falso catastrofico di von Trier e così via) è altrettanto vero che in Rabid la componente generica sembra fare qualcosa in più (meglio: di troppo) del solito per farsi prendere sul serio.
Il film resta interessante, e sostanzialmente godibile su due livelli, fondamentalmente; c’è quello teorico/interpretativo, nella misura in cui ribadisce e porta avanti il discorso cronenberghiano sulla sessualità/contagio, sulla chirurgia sperimentale e sulle mutazioni, e c’è l’utilizzo, ironico e autoreferenziale, che viene fatto di Marilyn Chambers, attrice hard che, vampira mutante e sensuale, si mostra (semi)nuda per la maggior parte del tempo, viene coinvolta in avventure para-pornografiche (la scena lesbo, quella zoofila, quella col camionista e così via), si reca metacinematograficamente in un cinema a luci rosse, all’uscita dal quale è inquadrata mentre passa davanti al poster di Carrie, su cui troneggia Sissy Spacek che era stata la prima scelta di Cronenberg per interpretare il personaggio di Rose, prima che Reitman gli imponesse proprio la Chambers. Tutto vero, tutto sicuramente interessante ma il film è, a volergli bene, irrisolto.