Documentario, Recensione

QU’ILS REPOSENT EN REVOLTE

Titolo OriginaleQu'ils reposent en revolte (des figures de guerre)
NazioneFrancia
Anno Produzione2010
Durata159'
Fotografia

TRAMA

Calais è terra di frontiera, spazio aperto che guarda al mare; per i migranti che aspettano di raggiungere le coste inglesi, la cittadina diventa un limbo in cui l’attesa può essere infinita. Alla ricerca di gesti di normalità che rendano più accettabile questa permanenza forzata, gli uomini si lavano sulla spiaggia, si conoscono, senza dimenticare però la loro condizione di possibili vittime di retate e arresti condotti da una polizia sempre presente. E intanto il mare continua a lambire la terra con imperturbabile ripetitività.

RECENSIONI

Girato in un periodo di tre anni, cinema insieme militante e d'avanguardia: Sylvain George si pone all'interno della realtà dei migranti (ma anche di sans-papier, disoccupati, studenti), carica la realtà della propria presenza, osserva la politica di Stati che spogliano gli Individui dei diritti fondamentali, lascia spazio alle parole e alle azioni dei presunti devianti, a un punto di vista posto come prassi sociale ai margini, ignorato, falsificato. Non è solo la materia a essere politica, ma anche il trattamento: a George non interessa ricostruire percorsi, documentare cause ed effetti, ma restituire una voce differente. Il suo cinema è scarno e dilatato, ma capace di osare il lirismo con una materia considerata socialmente residuale. E, convinto che il cinematografo sia un'estensione del pensiero, fonda uno sguardo contro ogni convenzione di linguaggio, ogni già dato culturale. Corpi e suoni sfondano le porte del senso strutturato, puntano a creare coscienza, non mera conoscenza di dati: la durata delle inquadrature sfida la sopportazione, il bianco e nero asciuga la realtà, il montaggio crea spazi nuovi, dove è impossibile importare preconcetti, dove è impossibile riconoscere qualcosa, ma solo scoprire per la prima volta. Il cinema di guerriglia diviene un cinema sensoriale, che chiede di cancellare le abitudini del vedere per rivedere propedeuticamente la realtà che circonda. Lo stile è una questione politica, il cinema è un'arma di lotta, non un linguaggio autoreferenziale. George, dopo L'impossible – Pages arrachées, dimostra di essere un cineasta capace di lavorare direttamente sulla natura primordiale dell'immagine, come pochi, al mondo, sanno fare. E pretende, senza appelli, che il cinema sia rivouzionario. Dopo essere stato presentato al TFF, il film ha vinto il Filmmaker Film Festival di Milano.