TRAMA
Dopo anni di matrimonio, Debbie e Pete arrivano insieme alla fatidica soglia dei quaranta.
RECENSIONI
Un uomo di quarant'anni non dovrebbe essere ancora vergine (The 40 Year Old Virgin); una giovane e attraente donna in carriera non dovrebbe rimanere incinta dopo un incontro occasionale con un ragazzo immaturo e sovrappeso (Knocked Up); un comico di successo dovrebbe imparare qualcosa dallo scoprirsi prossimo alla morte (Funny People). Nel breve prologo di This Is 40, sorta di sequel di Knocked Up, come recita la tagline del film, i coniugi Debbie (Leslie Mann) e Pete (Paul Rudd) non dovrebbero arrivare alla conclusione che i quaranta sono «un'età di merda» mentre stanno facendo sesso nella doccia. La comicità di questi «inversions of stereotypes» (Roger Ebert) [1] nasce nelle commedie di Judd Apatow dal tentativo di controllare qualcosa che è ferocemente fuori controllo e che nella vita matrimoniale costringe la coppia ad arrendersi di fronte a un'amara evidenza: il matrimonio può essere piacevole, a patto che si resista alla tentazione di voler migliorare le cose cambiandole. Per dirlo con le parole di Pete in Knocked Up, nell'universo di Apatow il matrimonio è una «versione tesa e sgradevole di Everybody Loves Raymond», in cui «invece di provare a fare battute spiritose, sono sempre tutti belli incazzati e tesi». Grande ammiratore della serie creata da Phil Rosenthal, il regista decise di citarla proprio perché si rese conto che i problemi descritti nel film «erano stati affrontati meglio in Everybody Loves Raymond. L'unica differenza è il mio stile comico contrapposto a quello di Phil Rosenthal, Ray Romano e del loro gruppo» (Apatow) [2]. Problemi, ad esempio, come quello raccontato nell'episodio Coniugi silenziosi, in cui Ray tenta maldestramente di «tamponare» la presenza della moglie addirittura reclutando i familiari solitamente invadenti come «ancore di salvataggio» contro lo sconfinamento muliebre. Pete corre ai ripari rifugiandosi in bagno con l'inseparabile iPad; e se le donne apatowiane sono maniache del controllo, gli uomini, a cominciare dai padri scrocconi e abulici, sono leali ma arrendevoli, più bugiardi delle compagne e inclini alla fuga, quasi mai intraprendenti e come paralizzati dai sensi di colpa e dalle pressioni economiche e sessuali. Riprendendo i termini dello scatenato citazionismo - idioma della complicità - esibito dai personaggi, nell'isterico e vincente gioco di squadra della coppia (vedi il bassissimo, esilarante attacco congiunto al compagno di scuola della figlia), lei è Simon e lui è Garfunkel, lei palpa il seno di Megan Fox e lui risuscita Graham Parker, lei sembra uscita da Glee e lui boccheggia in un angolo sentendo gli Alice in Chains, lei imita Linda Lovelace e lui fa sesso come il Ross di Friends. La passione, altalenante posta in gioco, impedisce ai due di trasformare la loro unione in un «affare» che sì inchioda l'uno all'altra ma in modo spassionato, «come fratello e sorella».
Forte dell'usuale pianificazione "in famiglia", à la John Cassavetes - per il quale il cinema era nient'altro che un modo di vivere - ma orgogliosamente hollywoodiano, Apatow realizza con This is 40 il suo film più personale e compiuto, una play of love and hate sugli attimi di ordinaria follia di una famiglia, catturati da una distanza ravvicinata che polverizza il romanticismo negli interni dell'habitat domestico presi incessantemente d'assalto dall'altro familiare. Apatow nomina proprio Cassavetes quando ammette che opere come Husbands e A Woman Under the Influence hanno ispirato il suo approccio [3]. Il contesto scherzoso della dichiarazione suggerisce di non prendere le sue parole troppo sul serio, nonostante la tacita ammirazione per il regista newyorchese. Tuttavia, This is 40 sembra voler mostrare proprio l'altra faccia della spensierata immagine conclusiva di Minnie and Moskowitz, che celebrava gioiosamente l'unione miracolosa di due solitudini eccentriche ed eccessive (la bella WASP Gena Rowlands e il buffo beatnik Seymour Cassel avevano in comune "soltanto" la passione per Humphrey Bogart) [4]: quella che viene dopo il sogno, in quanto il matrimonio - parola di Cassavetes - non prevede alcun romance perché in esso «i momenti in cui si ha il tempo di essere romantici sono molto brevi», e tutte le persone sposate - assunto fatto proprio dalle commedie di Apatow - sono a loro modo infelici per contratto.
Il genere prevede comunque il lieto fine e quello di This Is 40 assicura che questa coppia di quarantenni ancora innamorati - chiaramente dei privilegiati in un «periodo orribile della storia dell'umanità» - in qualche modo se la caverà. L'ultimo commento condiviso alla puntata conclusiva di Lost, visionata da nonno e nipoti nell'accogliente salotto di casa, segna la distanza definitiva dalla desolante visione incarnata dal cassavetesiano Morgan Morgan (personaggio-abisso già dal nome), che definiva il cinema un luogo esistenziale «per gente sola che ama fissare uno schermo» (Pete andava da solo al cinema in Knocked Up, Sadie ha passato troppo tempo davanti allo schermo del suo iPad). Stabilisce anche una continuità: Minnie and Moskowitz, nonostante le indignate parole di Minnie contro la «congiura» hollywoodiana [5], era in definitiva una travolgente smentita della dichiarazione della vanità di quel cinema. Nella nuova era culturale e tecnologia, serie televisive di culto come quelle create da J.J. Abrams continuano a "rovinare la vita" delle persone sin dall'infanzia e alimentano con nuovi personaggi più veri del vero - Jack, Kate, Sawyer, Locke... - la fede in un lieto fine («Vedi - dice Sadie - non è triste, è un lieto fine perché si sono aiutati a realizzare il loro destino») che la commedia di Apatow sintetizza così: there's no fucking place like home. La massima della felicità oggi a Hollywood.
[1] qui
[2, 3] Dal commento al film contenuto nel DVD di Knocked Up.
[4] Una fantasia in Funny People appena sfiorata dal dissociato personaggio interpretato da Adam Sandler, comico di successo ed essere umano sprofondato nella disgrazia degli affetti, quando gioca con le piccole Iris e Maude Apatow travestito da indiano come Moskowitz nel finale del film di Cassavetes.
[5] «Penso che i film siano una congiura perché ci condizionano. Lo fanno sin dalla nostra infanzia. Ci costringono a credere a qualsiasi cosa. Ci costringono a credere negli ideali, nella forza, che esistano i buoni, le storie romantiche e ovviamente l'amore. [...] Non c'è nessun Charles Boyer nella mia vita [...]. Non ho mai conosciuto Clark Gable, Humphrey Bogart, non ho mai conosciuto nessuno di loro. [...] Non esistono [...]. Ecco la verità. Ma il film ti condiziona e, anche se sei scaltra, ci credi».
Venduto, sin dalla locandina, come seguito di Molto Incinta (ricompaiono, in ruoli minori, alcuni personaggi), in realtà è un’opera profondamente differente dalle precedenti del regista: come il film citato prende spunto da esperienze autobiografiche, non foss’altro che, ancora, Judd Apatow scrittura come protagoniste moglie (Leslie Mann) e figlie. Il risultato finale, però, non è la (sua) tipica commedia, dove gag più o meno scatologiche ed episodi che sanno di “vero” impreziosiscono una struttura tradizionale, ma il frutto di una messinscena realistica, copia-incolla di esperienze personali dove, al limite, le situazioni sono esasperate o concentrate nei punti di svolta e nella loro significatività, per rendere più compatto, attraente, divertente e meditativo il materiale. Anche l’oggetto è differente: situazioni con il sapore banale della vita di tutti i giorni, delle dinamiche psicologiche di una coppia qualunque, circondata da amici, parenti, lavoro e prole. Il tutto prelevato dalla “realtà” ma restituito con sguardo affettuoso e con la consapevolezza delle motivazioni ad agire di tutti i personaggi, distaccandosi dalle crisi per analizzarle e comprenderne le radici: uno sguardo che possiede, anche, senso dell’umorismo e del citazionismo, musicale e cinematografico, per categorizzare o richiamare una situazione o un modus vivendi con un’etichetta riassuntiva. Pete, ad esempio, ama i giganti del rock storico, Debbie la musica che evoca felicità: Apatow è Pete e pone davanti alla macchina da presa il Ryan Adams dei Green Day, Graham Parker e, in una scena tagliata, il cantante degli Eels; disprezza i ragazzini fanatici di Twilight e, al Lost della figlia, oppone l’amato Mad Men. Il genio sta, anche, nel saper restituire il senso di situazioni drammatiche o paradossali con queste “etichette”: per esprimere il disagio nel rapporto con la moglie, ad esempio, Pete si paragona ad Art Garfunkel, “manovrato” da Paul Simon, in un film generoso di episodi emblematici sulla paura della gioventù perduta, sull’incomunicabilità della coppia, sulle menzogne figlie di stress e timori, sull’ingombro di figure genitoriali assenti che segnano le nostre relazioni future. Strepitoso (soprattutto se messo in relazione alle scene sui titoli di coda) cameo della nuova regina della commedia americana, la sboccata Melissa McCarthy.