TRAMA
Quattro amiche in viaggio verso Belgrado.
RECENSIONI
Liliana, Caterina, Angela e Anna: ragazze troppo (eppure non del tutto) cresciute. Ognuna di loro custodisce una caratteristica assolutamente peculiare, che al tempo stesso cementa e disgrega il gruppo: la malattia di Liliana, l'amore di Caterina, la chiaroveggenza di Angela, l'imminente maternità di Anna interagiscono fatalmente in una manciata di giornate, fra litigi appena accennati, passioni che sbocciano già avvizzite, parole e silenzi egualmente decisivi. Piccioni riesce nell'impresa (tutt'altro che agevole) di girare un film agile e fresco come le sue protagoniste, schivando abilmente (quasi) tutte le trappole insite nel meccanismo del racconto iniziatico: l'educazione alla vita segue le tappe obbligate del (sotto)genere ma non è un percorso didattico (del resto, chi avrebbe titolo per impartire una lezione? non certo gli adulti, più sperduti dei giovani), bensì muto ripiegarsi in sé, (im)possibile accettazione di una sofferenza inesprimibile e non condivisibile, mentre il mondo esterno regala, di volta in volta, quadri di imponente bellezza (la chiesa, il lago) o fondali di raggelata indifferenza (Belgrado, deliberatamente priva di qualsiasi aura e resa assolutamente analoga a Parigi, Tokyo o Toronto). Le fanciulle in fiore si abbandonano con accigliata indifferenza ai rispettivi sogni/incubi a occhi aperti, sfiorano l'esistenza riportandone segni (forse) indelebili: la macchina da presa le segue senza comprimerle nello stereotipo, orizzonte dal quale non riescono ad affrancarsi genitori e insegnanti, equamente ripartiti fra macchiette e figure 'problematiche' più utili al minutaggio che non alla costruzione drammatica. La sequenza conclusiva si sforza (anche troppo) di tirare le somme, trovando una serenità dolceamara (e vagamente sentenziosa, complice la voce over) che non disturba più di tanto. Magnifico il lavoro compiuto dal regista assieme alle giovani attrici, di cui vengono valorizzati persino i (deliberati?) bamboleggiamenti, anche se nel poker fatalmente spicca la grazia torva di Marta Gastini, memorabile soprattutto nel dialogo con il fratello Alessandro Averone (una certezza, più che promessa, del teatro italiano).
