TRAMA
Dopo aver sostenuto l’accusa in un controverso processo contro uno spacciatore di colore che ha quasi ucciso suo padre poliziotto, fa carriera fino a diventare procuratore.
RECENSIONI
Adattando “Tainted evidence” di Robert Daley (lo stesso autore di uno dei suoi capolavori, Il Principe della Città), Sidney Lumet, impegnato anche nella sceneggiatura, riprende le fila del suo discorso sulla corruzione fra le Istituzioni e la Polizia della città di New York: parte con il dramma giudiziario, di cui è maestro, ma frequenta anche l'action da poliziesco e il film politico. Non governa in modo credibile la materia, in alcuni passaggi calca troppo la mano (l’incontro seduttivo fra Andy Garcia e Lena Olin è sbrigativo e poco plausibile), non riesce a donare ai suoi personaggi un'anima, almeno fino alla scena, ricca di pathos, in cui James Gandolfini (si) confessa in casa del compagno poliziotto. L’esemplare specularità fra i personaggi di Richard Dreyfuss e Andy Garcia (quest’ultimo ancora dalle parti di Affari Sporchi, ma con una recitazione troppo affettata) ricorda il cinema di Michael Mann: in ritardo, il dramma etico si fa appassionante. Inizia a dispiegarsi un'interessante riflessione sul campo d'azione della Legge che persegue la Giustizia: secondo Lumet, che con il passare degli anni s’è fatto più cinico ma non ha ancora perso la fiducia negli strumenti del Bene, la Dea Bendata dovrà, per forza di cose, perseguire una "zona grigia". La chimera del bianco (opposto al nero) la lascia ai preti (il personaggio di Garcia, in passato, era stato tentato di prendere i voti). Non a caso lo slogan del film è “C’è posto per un uomo onesto in una città di nove milioni di persone?”: è giusto che, per colpa della corruzione, ci rimetta anche chi fa il suo dovere? È ragionevole liberare un farabutto per colpa di un documento mancante? La notte cade su Manhattan (titolo originale) e penetra nella coscienza di un procuratore che dovrà affrontare se stesso, suo padre, i propri ideali impastati nel compromesso.
