TRAMA
Una coppia alle prese con l’impossibilità di avere figli cerca di mantenere saldo il matrimonio. Tuttavia, barcamenarsi nello strano mondo della riproduzione assistita e dell’adozione non è semplice.
RECENSIONI
Sono passati undici anni da The Savages ed è da allora che Tamara Jenkins mancava dalla macchina da presa: ci torna, via Netflix, con un film che rivolge ancora una volta la sua attenzione alla famiglia attraverso la focalizzazione di due personaggi principali, due coniugi che si avviano alla mezza età e sono alla disperata ricerca di una gravidanza: il loro cammino a tappe (e relativi capitoli) scandisce anche il rapportarsi al mondo che li circonda, testimonia di un atteggiamento esistenziale e del modo in cui la coppia è percepita dagli altri (il titolo fa riferimento a questo: il concepimento di un figlio è un fatto privato, ma l’impossibilità di averne uno obbliga i potenziali genitori a uscire allo scoperto, a rendere in qualche modo pubblico il loro tentativo). Un rapporto uomo-donna al microscopio, con le sue ramificazioni: il nodo sarà il coinvolgimento di una nipote/figlia putativa nel tentativo ultimo di ottenere l'obiettivo attraverso la donazione degli ovuli.
La storia di questo sforzo estremo di contrastare la natura (e un budget-gravidanza risicato) in forma di via crucis agrodolce è, in effetti, ben delineato: tutti i passaggi di rito ci sono, i personaggi di contorno che fanno da debito contraltare rispondono all’appello, come il flashback che dà sostanza all’impazienza (la donatrice sparita); i dilemmi sorgono con puntualità svizzera, i conflitti e i dubbi pure, la patina deprimente si avverte tutte le volte che è necessario. Così come l’egoismo inespresso, che è avvertibile in ognuno, dietro il paravento del rispetto conclamato, dell’affetto, della riconoscenza. Persino la scena della festa del Ringraziamento (un must del family drama made in U.S.) non manca all’appuntamento con il confronto-scontro di una dovuta scena corale.
Peccato che non basti un copione concepito ad arte se i due personaggi principali possono vantare solo un esibito background culturale (sono scrittori ovviamente), quando, in tutta evidenza, non ne hanno uno umano. Non c’è vissuto attraverso il quale questi personaggi parlino, è sempre e solo lo script che li imbecca. Non accadeva nel precedente: in quello che è uno dei capolavori del cinema familiare americano del secondo millennio, sotto la semplice dolenza delle questioni in ballo, dietro ogni dialogo o silenzio si intuivano abissi. Qui c’è un tema a cui l’autrice tiene molto e che tratta con sensibilità e acume, ma che rimane costantemente in primo piano, sacrificando la complessità dei sentimenti dei personaggi, consegnando questi ultimi a una serie di drammi - piccoli e grandi - di prammatica e strumentali al topic. Poi, per carità, resta la capacità di Jenkins di sintetizzare l’essenza di una situazione con un semplice dettaglio: l’affondare nervoso del coltello elettrico nel pollo, dopo la rivelazione del piano inseminatorio e tutto quel discettare di eggs (ho riso molto); il malinconico, rassegnato sgonfiare il materasso allorquando Sadie lascia l’appartamento di Richard e Rachel. Ma sono guizzi all’interno di un compito solo ben svolto.