Thriller

PRIGIONE DI VETRO

Titolo OriginaleThe Glass House
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2001
Genere
Durata106'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Quando Ruby e suo fratello minore Rhett rimangono orfani, i migliori amici dei genitori, Erin e Terry Glass, si offrono di aiutarli, ma per Ruby i due coniugi non sono così amichevoli come vogliono far sembrare…

RECENSIONI

Una ragazza e' braccata da un serial killer mascherato che cerca di farla a pezzi. Questo l'inizio di "Prigione di vetro" che comincia imitando il filone horror-giovanilistico, che ha trovato in "Scream" la sua rinascita, per poi distaccarsene completamente. Dopo un colpo di scena davvero forte, il film si incunea nel genere thriller per non uscirne piu'. Nessuna virata nel paranormale (nonostante il regista Daniel Sackheim, alla sua opera prima, se ne intenda, avendo diretto alcuni episodi di X-Files), nessuna trovata ad effetto, ma un onesto film di genere dove le cose non sono, ovviamente, come dovrebbero essere, ma finiscono con l'essere esattamente come sembrano. E il risultato e' curioso perche', se da un lato l'impianto narrativo risulta alquanto prevedibile, riesce ugualmente a coinvolgere e a creare una certa tensione. Merito di una sceneggiatura che funziona, di una regia che non si perde in fronzoli, di un'interprete, Leelee Sobieski, enigmatica come la Gioconda ma credibile. Qualche scivolone nella grossolanita' non manca, soprattutto nella parte finale, con i soliti "topoi" che sembrano comunque non poter mancare: le mille vite dell'assassino, l'esaltazione della vendetta personale come unico modo per regolare i conti, la faccia da matto del cattivo di turno. Fondamentale nella creazione dell'atmosfera il design della casa di vetro a picco sulla costa di Malibu, tanto estrema nelle scelte architettoniche, quanto soffocante nella sua gelida perfezione.
Un prodotto di genere, quindi, che non mira a stupire, ad approfondire tematiche sociali, ad introdurre innovazioni tecniche, ad essere ricordato, ma semplicemente ad intrattenere. E ci riesce!

Ruby e il fratello, rapiti da un benessere di facciata che nasconde scopi vampireschi, condotti in questa villa para-wrightiana, tutta vetro e acciaio, in cui l'intimità è un'utopia (tutti guardano e sentono tutti), tradotti per un (falso) accidente da un'altra gabbia, solo più rassicurante, sono topi viziati in una trappola pericolosa: un bambino narcotizzato dai videogame, una ragazza più consapevole dei gioghi familiari e pseudofamiliari e più critica e cosciente che non si lascia ammaliare dalle lusinghe borghesi, ma le usa a suo vantaggio per tirarsi fuori dai pasticci (un indispensabile portatile Mac). In una casa di vetro, di nome (casa Glass...) e di fatto, che diviene prigione psicologica e paradossale l'ambiguità vorrebbe serpeggiare, alimentata da un décor stilizzato di metalli, riflessi acquei, azzurri elettrici e sfavillii high tech, in un labirinto di elegante rigore, ma l'alimentazione del dubbio è a corrente alternata e non basta un Amleto nel motore a rendere consistente il tormento della protagonista: la sua paura è solo un riflesso sul vetro e sullo schermo (un inizio ingenuamente autoreferenziale, l'incubo anticipato dal film che Ruby guarda al cinema).
Salvano il film e suggellano il lavoro con il timbro del mestiere il kit prontouso del genere, la promettente Leelee Sobieski e un finale rozzo, ma non telefonato, che con bella variazione evita facili soluzioni claustrofobiche ed è tutto en plein air.