Il faut être absolument moderne.
Arthur Rimbaud
A sign of the times, every time that I speak
Lil Nas X
La rivoluzione partecipa dell’escatologia per mezzo del rapporto consustanziale con il tempo. La rivoluzione è fatta di tempo, si incunea nel proprio tempo e al contempo è evento che devia l’arco temporale, omega e alpha, risultato finale, sintesi di tutto ciò che è stato e insieme sua deflagrazione e riscatto, palingenesi, la volontà spezza le catene della necessità, la libertà guida il popolo… La rivoluzione del pop mainstream 2021 si chiama Lil Nas X, al secolo Montero Lamar Hill.
L’ICONA
“Rivoluzione” è termine astronomico che designa il moto di un corpo celeste attorno a un centro di massa. Mantiene quindi, anche nel significato mondano, un rapporto con il ciclo. Significativamente la maggior parte delle rivoluzioni della storia – tentate, riuscite, fallite – si è messa in moto in primavera. È il 26 marzo 2021, primavera da un pugno di giorni che segue un inverno come non ne abbiamo mai visti. Il mondo sta gradualmente, faticosamente, tentativamente emergendo dal più lungo lockdown globale a memoria d’uomo, da mesi durante i quali le prospettive nello spazio fisico e mentale sono state forzatamente contratte all’abituale e al domestico, in cui il corpo è stato soppresso in quanto veicolo di contagio e l’ordine del discorso pubblico riportato ai termini della cautela, della protezione, dell’astensione. In quel particolare momento, con il tempismo perfetto che è condizione prima dell’atto rivoluzionario che deve trovare il varco nella struttura del tempo per poterlo scardinare, viene diffuso su YouTube l’attesissima Montero (Call my by your name), primo singolo della pop star che, due anni prima, aveva polverizzato da teenager i record di permanenza al primo posto delle classifiche con Old Town Road e il suo patchwork dadaista del cowboy nero che canta un’improbabile country-trap.
Il video co-diretto dallo stesso Lil Nas X è una presa della Bastiglia. Comincia con il cantante seduto sotto un albero in una sorta di eden hyperpop dove viene avvicinato da un serpente tentatore che lo bacia sulle labbra e gli lecca lo stomaco, risvegliandolo. Quindi in una caleidoscopia sincopata vediamo Montero moltiplicato e trasfigurato in pompa ancien régime color pastello e tradotto in catene verso il centro di un’arena per essere lapidato. Ma lì c’è il colpo di scena, chiaro rimando al coming out dell’anno precedente, coraggioso e tuttora insolito per un artista con il suo profilo ma perfettamente zeitgeist e coerente allo stile Lil Nas X (via Twitter, in modo completamente antiretorico). Empowered fino dall’aspetto che improvvisamente si fa contemporaneo e non rimanda più al passato o all’utopia (perché la metafora, che ha a che fare con la realtà e la realizzazione, utilizza i piani temporali), sveste i panni di Maria Antonietta per esporre al massimo grado possibile il corpo bello come il sole e scende in lap dance al centro dell’inferno, seduce Satana twerkando, lo uccide e ne prende il posto. Lil Nas X rilancia sempre: passano pochi giorni e mette all’asta le Satan Shoes, realizzate dal collettivo artistico MSCHF inglobando una goccia di sangue umano dentro un paio di Nike. Bisogna risalire agli anni Settanta per trovare artisti mainstream dalle vendite milionarie (i.e. Led Zeppelin) che rivendicano in senso positivo l’ascendenza satanista come dottrina emancipatoria – oltre che naturalmente connessa al mondo queer da Aleister Crowley a Kenneth Anger.
L’ultimo frame, quando Lil Nas X si auto-incorona e fissa in camera gli occhi vuoti e illuminati è la singola immagine più potente, proliferativa e emancipatoria regalata dall’anno 2021: un’icona che dice di un altro mondo possibile pieno di sì alla vita nicciani, completamente estraneo alle prospettive anguste del momento storico e al suo corollario di posture borghesi e normative oltre all’aria generalmente corretta e acquiescente che spira nel pop mainstream. Si tratta di una chiara e specifica metafora queer, di un manifesto dove il politico è privato e viceversa ma il bello è che ci ritroviamo con una immagine di liberazione a ampio spettro e potenziale che, in mezzo a tanto rumore bianco, resta nella retina e nell’immaginario.
LA LINGUA
Un terremoto di tale magnitudo non poteva non generare uno tsunami di caro vecchio satanic panic. Le reazioni indignate da parte dei bravi borghesi soprattutto americani diventano un genere a sé su YouTube e TikTok. In un ulteriore movimento che è al contempo recupero di una tradizione e rottura con il presente, Lil Nas X è una popstar mainstream che si pone in posizione agonistica verso l’era della suscettibilità la quale afferma che tutte le sensibilità vanno rispettate,non ha paura di offendere beghine e bigotti, ispirandosi piuttosto ai grandi sovversivi metafisici, al Cristo di Pier Paolo Pasolini venuto a portare la spada e a separare genitori e figli, che è poi ciò che ha sempre fatto la musica, almeno a partire dall’invenzione dei giovani negli anni ’50. Nella pandemia in corso di pop family friendly, Lil Nas X si pone come elemento divisivo e deflagrante, genera tsunami e poi surfa sull’onda. Una azione ricorrente è il cavalcare (un cavallo, Satana di cui sopra), “to ride” è un verbo che torna nei testi con le sue evidenti implicazioni sessuali oltre che esistenziali. Ancora la medesima postura duplice nei confronti del tempo: Lil Nas X sconvolge l’ideologia perbenista e vittoriana diffusa in ampia misura dai social ma è un nativo digitale che vive sulla linea Twitter – YouTube – TikTok, sulla quale ha costruito non solo la carriera artistica ma anche la propria vita, la propria dimensione politica, la propria lingua. La lingua di Lil Nas X è quella del troll fin dalla sintassi, nella quale veicola lo specifico unapologetic, di cui diremo. Fa terrorismo con l’idioma del LOL. Su Twitter risponde senza mai indietreggiare tanto alle associazioni di genitori quanto ai politici repubblicani (leggendario il botta e risposta con la governatrice del Nord Dakota: “ur a whole governor and u on here tweeting about some damn shoes. do ur job!”) come non indietreggia, non si astiene quando si scrive i testi delle sue canzoni. Nessuno può lamentare scarsità di temi LGBT nel pop recente. Purtroppo si tratta spesso di musica innocua, melensa, corretta che ratifica l’egemonia della società capitalista etero-patriarcale sposandone i valori attraverso la presa in prestito acritica di un immaginario fatto e finito, chiavi in mano – da qui tutte le Take Me To Church del mondo. È entusiasmante invece sentire cantare, nello strappato che è la sua cifra vocale, “Romantic talking? You don’t even have to try / You’re cute enough to fuck with me tonight”, “I want the jet lag from fucking and flying / Shoot a child in your mouth while I’m riding” oppure “Never want the niggas that’s in my league / I want to fuck the ones I envy”. C’è infine almeno un altro esempio di terrorismo semiologico perfettamente riuscito. Durante il tour promozionale televisivo, costretto a oscurare le frasi sopra citate, non le edulcora come da lunga consuetudine ma inverte l’ordine delle sillabe in un cadavere squisito, in un nosense lessicale che espone i meccanismi della censura in modo così evidente da trollarla. Intanto, troneggiando su uno stuolo di ballerini ai BET Awards, si produce in un lungo e umido bacio con quello che si scoprirà essere il suo fidanzato. La politica passa sempre, in primo luogo e allo stesso tempo, attraverso il linguaggio e il corpo.
IL CORPO
Lil Nas X è unapologetic e rivendica la dimensione politica del corpo e del sesso. Comincia tutto col più classico degli incidenti social, il leak dei nudes nel 2019. La risposta “y’all be threatening to post my nudes like i’m ashamed of this blessing” è paradigmatica e anticipa una serie sempre più esplicita di auto-esposizioni tra Instagram e video, fino a momenti iconici come la doccia di gruppo in Industry Baby e la scopata sempre sotto la doccia in That’s What I Want. Sono video che ripropongono letterale un immaginario high school e/o all american fatto di football, prom, spogliatoi, carceri in stile Alcatraz per virarli al rosa shocking e verso una omosessualità per nulla edulcorata o asessuata. Sono immaginari portati consapevolmente al massimo grado di stereotipia, grazie alla consueta attitudine camp (un camp tutto nuovo, però), perché possano deflagare in modo più rutilante. Lil Nas X non mette al centro della canzone o dell’immagine il matrimonio egualitario bensì il cazzo. Inoltre esplicita in modo inequivocabile, tanto nelle liriche quanto nei video, la preferenza per il ruolo passivo e così sferra un colpo ulteriore a un residuale tabù interno alla comunità gay, specialmente afroamericana, a proposito della virilità.
L’uso del corpo, la disciplina dei piaceri secondo Lil Nas X non richiede giustificazioni ulteriori, si impone come atto di volontà, di agency, come rivendicazione dell’avere un corpo sexy come ragione sufficiente. Il sesso e il pop sono fatti della stessa materia, (almeno) dai tempi di Elvis. Lil Nas X si pone nella linea di Prince – e a più riprese ne omaggia i look – trasformando la figura semi-disneyana che cantava Old Town Road e faceva coppia fissa con Elmo al Muppets Show in un corpo tutto-erogeno, che poi è da sempre la qualità prima del corpo delle star, collettori di desideri di massa. Nello specifico, come un secondo Prince, si presenta devirilizzato, lontano dallo stereotipo machista dell’uomo che non deve chiedere mai ma soltanto afferrare eppure trova un modo per affermare continuamente la propria soggettività, non è mai lo schermo indefinitamente e infinitamente ricettivo che sono (state?) molte pop star costruite per sostenere il male gaze come tu mi vuoi. Per fortuna in questo caso non è tanto un nuovo mondo possibile ma una sintonizzazione con una auspicabile nuova normalità emergente. Lil Nas X è, anche anagraficamente, post-gender: non soltanto interpreta genialmente il cross dressing su vari red carpet assortiti ma inscena una gravidanza con tanto di pancione prostetico per il lancio dell’album.
Senza voler portare alle estreme conseguenze un paragone che nessuno potrebbe reggere, Lil Nas X è per certi versi il David Bowie iGen per la tensione al trasformismo, al travestimento, al cambio continuo di mascheramento, di persona nel disinteresse per l’affermazione della permanenza o persino dell’esistenza di (una) individualità. Come l’uomo che cadde sulla Terra per essere Ziggy Stardust, Aladdin Sane, The Thin White Duke, Nathan Adler eccetera eccetera eccetera, Lil Nas X è ogni volta qualcosa di diverso. Risponde allo stesso principio l’evidente divertissement dell’interpretazione di personaggi plurimi, con o senza cerone, nei video, alla Eddie Murphy. Questa la nobilissima linea ereditaria. Lo specifico di discontinuità a favore dello spirito del tempo è la velocità: non cambia personaggio ogni album, sviluppando per ognuno una biografia, un immaginario culturale di riferimento, un’estetica stratificata bensì a ogni post Instagram. Sta tutto, giustamente, nella superficie dell’immagine e il messaggio eventuale deve essere nuclearizzato per arrivare insieme allo shock, all’esercizio nella nobile arte perduta dell’épater le bourgeois. A prescindere dalla frequenza è ancora, come fu da parte di Bowie, una operazione anti-identitaria, tanto più necessaria e liberatoria in una epoca che è tornata ad ossessionarsi per le identità piccole e grandi, forti e deboli. In definitiva Lil Nas X è la perfetta declinazione nella forma più perfettamente contemporanea, più zeitgeist e insieme accessibile e pop, del principio antagonista che lega gli infiniti modi nei quali la controcultura ha rivendicato il diritto all’autodeterminazione e alla lotta contro ogni castrazione da parte del potere, dello status quo. “Outrageous” sembra essere uno degli aggettivi prediletti da Lil Nas X, come fu per David Bowie che ne scandiva ogni sillaba. Da qui, coerentemente, l’appropriazione della bandiera satanista. Il corpo orgogliosamente esposto, mai auto-censurato, pare urlare alcuni nobili antichi slogan come “Black is beautiful” e “Say it loud, I am gay and I’m proud”. Il superamento da parte di Lil Nas X dei recinti identitari, della mappatura borghese dei territori esistenziali, della sobrietà come valore e anche del profilo innocuo della popstar progressista che sposa tutte le cause giuste senza discutere le liturgie, è un altro atto di hybris luciferina, come la riaffermazione della necessità politica della provocazione. Non sappiamo quanto consapevolmente ma piace immaginare che Lil Nas X abbia raccolto il testimone dal mai sufficientemente compianto Genesis P-Orridge, sommo sacerdote della fusione tra queerness e satanismo, il cui testamento musicale recita: “You will be what you want to / You can really be you / After you’re dead she said / I don’t think so / I really don’t think so”.
Video dell’anno 2021