TRAMA
L’incredibile incubo giudiziario di Alain Marécaux, ingiustamente accusato di pedofilia e dichiarato in non seguito non colpevole.
RECENSIONI
Ispirato alle memorie di Alain Marécaux, usciere di giustizia ingiustamente accusato di pedofilia, Présumé coupable è il resoconto delle sue tribolazioni, dall’irruzione della polizia agli anni di prigione, dall’estenuante iter giudiziario all’assoluzione. Forse in ragione della fonte autobiografica, il film è un’agiografia antiriflessiva e gridata, marcata da uno stile disgraziatamente muscolare. Sottovalutando l’autonoma capacità critica dello spettatore, l’autore opta per una tipizzazione urticante dei caratteri, che performa inesorabilmente il giudizio del fruitore: da un lato la vittima sacrificale, innocente e pura, con la quale lo spettatore deve necessariamente identificarsi, dall’altro alcune figure “mostruose” che inveiscono e sbraitano come cani rabbiosi. Non c’è nulla di kafkiano nel racconto della vittima Alain, tutto è esplicito, orientato, chiaro, al punto che viene da rimpiangere il similare Detenuto in attesa di giudizio di Loy, dove almeno l’autore osava occultare i rappresentanti del Sistema e problematizzare la relazione vittima/carnefice. La macchina a mano impugnata da Gareng segue i personaggi cogliendo principalmente i momenti di tensione e le esplosioni di violenza; stringe sui volti dei personaggi unicamente per istituire un conflitto bipolare che non ammette vie di mezzo o sfumature. Anche accettando l’ipotesi di una focalizzazione interna, in cui l’occhio del protagonista deforma la realtà circostante, l’effetto di angoscia e il sentimento di vivere in un incubo che sarebbero dovute derivarne risultano parziali o non abbastanza forti. Ne consegue la sensazione di assistere ad una via crucis grondante retorica, alla quale si possono rimproverare in toto i vizi ideologici del sistema accusatorio degenere che vorrebbe stigmatizzare: puro terrorismo psicologico.
