Drammatico

PREFERISCO IL RUMORE DEL MARE

NazioneItalia, francia, Germania
Anno Produzione2000
Durata88'
Fotografia

TRAMA

RECENSIONI

A presentarsi davanti al cinema con qualche minuto di anticipo la voglia di vedere l'ultimo lavoro di Mimmo Calopresti diventa presto necessità: si rimane per un po' incantati a guardare questo piccolo gioiello confezionato ad arte che è la locandina del film, di una semplicità spiazzante, soltanto una foto di un mare blu intenso che occupa tutto lo spazio disponibile e sulla quale è impresso in caratteri arancioni questo splendido verso di Dino Campana. Davvero un biglietto da visita entusiasmante, soprattutto se confrontato con le anonime e sfiancanti locandine di molte grandi produzioni hollywoodiane, che non mancano mai di esprimere la più totale mancanza di creatività anche nella presentazione del prodotto, ma lasciamo perdere…
Viene da chiedersi se questo mare che si vede così poco sia il vero protagonista della vicenda, che si muove per la maggior parte del tempo in una Torino grigissima e oppressiva. La centralità dell'oggetto in questione scaturisce proprio dalla sua assenza, o meglio dalla lontananza che apre le porte del malessere, a contatto con la realtà alienante (se mi passate il luogo comune) e artificiosa (vedi le insopportabili luci natalizie che infestano Torino che di tanto in tanto ricorrono durante il film) delle grandi città industriali del nord Italia. Rosario fugge da una situazione di invivibilità data da cause esterne (gli "attriti" con i compaesani) e si trova in una situazione di invivibilità ancora peggiore data questa volta però da cause che sono intrinseche nel luogo in cui si trova, Torino appunto, dove si ascolta il rumore delle fabbriche incorniciato dal grigio del cemento.
"Preferisco il rumore del mare" è la storia di un continuo disagio che si espande contagiando tutti quanti a poco a poco, proprio con l'arrivo al "nord" di Rosario, ragazzo chiuso dentro se stesso che ha però la capacità di agire senza parlare, che nel suo magnetismo esasperante porta con sé un'esistenza straziata che mette a nudo lo strazio di tante altre esistenze sopite nel benessere e nel lusso accecante dell'arricchimento. Arricchito e distrutto dal prezzo della ricchezza è infatti il padre di Matteo (interpretato da Silvio Orlando), disorientato e frustrato dall'incapacità di rapportarsi con gli altri, a partire dalla giovane amante e dal figlio, che addirittura cercherà la via della morte, ormai conscio della propria inconsistenza emersa nel sofferto incontro con il lucido orgoglio di Rosario.
Calopresti ha evidentemente privilegiato il lavoro sugli attori, soprattutto sui due protagonisti, nel tentativo dichiarato di coglierne le psicologie e le reazioni più intime. Ci riesce nonostante l'interpretazione non proprio sopra le righe di Paolo Cirio (-Matteo- decisamente impacciato in alcuni frangenti, positiva invece la prova di Michele Raso- Rosario-) e lo fa senza mai un briciolo di retorica, esplorando ogni personaggio con delicatezza e lucidità, forte di una buona sceneggiatura e di un amore profondo per le storie che racconta e per i personaggi che le popolano. 
Da segnalare l'omaggio a Franti, enfant terrible del libro Cuore di De Amicis, che ricorre per tutto il film, esaltato magnificamente dalla splendida voce di Lalli degli indimenticabili Franti (appunto), gruppo seminale della scena rock italiana degli anni '80 (poi frantumatosi in vari progetti tuttora esistenti) che sono presenti con un brano nella colonna sonora (comunque già di per se molto bella, da notare anche un pezzo dei grandissimi Husker Du).
"Fabbricare Fabbricare Fabbricare. Preferisco il rumore del mare" Dino Campana.

E' mercoledi' sera. C'e' fermento in citta' e penso che il cinema a prezzo ridotto contribuisca a ravvivare il passeggio che si nota per le strade del centro. Sono con alcuni amici e decidiamo di andare al cinema. Non vogliamo fare troppo tardi, cosi' la scelta diventa molto anticinematografica e scartiamo tutti i film che superano le due ore (quindi la maggior parte di quelli in programmazione). Con un po' di fatica convinco gli altri a optare per l'ultimo film di Calopresti. Prima ancora di parlare del film, pero', mi sorge una domanda. Come mai i film italiani hanno cosi' poco appeal? Il problema e' annoso e di difficile risoluzione, anche perche' una sorta di "etichetta" sembra bollare i film italiani fin dalla loro uscita dividendoli, senza equilibrio, tra "caciaroni" e "palle intimiste". I trailer, in questo senso, non aiutano di certo, contribuendo in modo inopportuno a sedimentare i pregiudizi.Eppure l'equilibrio c'e'. Il film di Mimmo Calopresti, dopo il riuscito e sensibile "La parola amore esiste", e' proprio bello. Colpisce per la capacita' di creare la giusta atmosfera tra i personaggi senza arrivare alla macchietta o alla facile soluzione narrativa e punta dritto al cuore riuscendo ad emozionare. Gli attori, soprattutto i piu' giovani, sono bravi e in parte, la sceneggiatura e' ben calibrata e la regia pare riuscire nel difficile tentativo di rendere veri e vibranti i personaggi. Un altro film sull'incomunicabilita', in cui la ragione non e' mai tutta da una parte e i diversi punti di vista dei personaggi sono ben motivati, permettendo allo spettatore di porsi domande e cercare un confronto. Non ci sono particolari virtuosismi formali, ma solo, e non e' poco, la capacita' di rendere viva e toccante una storia, con un'attenzione particolare alla recitazione degli attori. Il retrogusto e' amaro, ma non per questo il film e' una "palla intimista". Quello che manca e' un po' di coraggio nei distributori e di fiducia nel pubblico che, se messo nelle giuste condizioni, potrebbe anche scoprire che nel panorama italiano, oltre al "panettone vanziniano" con il vip del momento, c'e' dell'altro.