Drammatico

PRECIOUS

Titolo OriginalePrecious
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2009
Durata109'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

La vita di Precious, 16 anni, per la seconda volta incinta del proprio padre.

RECENSIONI

Piccolo caso negli Usa, prodotto dall'onnipresente Oprah Winfrey per amore del libro da cui è tratto, Precious è un buon esempio di film indipendente che tenta di fare cinema verità lontano dall'action. Un oggetto da Sundance Film Festival (passato anche a Cannes) che rappresenta l'America in una delle tante famiglie disfunzionali, in uno dei tanti contesti degradati della metropoli newyorkese. Riassunta brevemente ad un profano, la storia di Precious sembra peccare di accanimento e può indurre a pensare ad un eccesso inverosimile di calamità: obesa, sola, cresciuta ad Harlem, una madre allo sbando che la odia, un padre che ne abusa sessualmente, due gravidanze indesiderate in sedici anni di vita, un barcollante sussudio a garantire la sopravvivenza, le speranze che si fermano sui banchi di scuola davanti ad un quasi totale analfabetismo. Eppure Precious non è né inverosimile né sovrabbondante. In questo mare di disgrazie sceneggiatura e regia non giocano sporco e non mendicano facile pietà, come conferma anche un impiego accorto della colonna sonora. L'antieroina è un'adolescente che si racconta con perpetui monologhi interiori, lucidi e chirurgici, ed evade dalla sua vita d'inferno con sgargianti sogni di celebrità, in cui risorge dal suo fango come luccicante star della musica e del cinema, adorata dalle folle e circondata da fusti patinati. Squarci onirici che arrivano quando lo spettatore meno se li aspetta, al culmine della drammaticità (e dell'insostenibilità, appunto) delle vicende. Sono i sogni della generazione televisiva nutrita di American Idol e America's got talent, analfabeta metaforicamente e, in questo caso, letteralmente. Una generazione a cui un'improvvisa popolarità sembra il più desiderabile dei riscatti (ma anche la più radicale delle fughe) anche quando manca tutto il resto: la deprivazione culturale mozza gli orizzonti esistenziali e persino l'orizzonte dei sogni. Eppure sono sogni disperatamente umani che nella loro ingenuità e nella loro resa grottesca inducono soprattutto alla tenerezza. Precious è una figura che lascia il segno, viso duro piuttosto che lacrime e la capacità naturale di conservare sempre una inattaccabile dignità interiore. Procede pesante per strade in degrado, portando dietro i suoi flagelli e sempre in attesa di un colpo alle spalle, ingiustificato, che puntualmente arriva. E' quasi un'icona, silenziosa tranne che con se stessa, abituata ad assecondare una fame atavica aspettando una salvezza in cui fatica a sperare. Forte di questo personaggio il film descrive un percorso verso la libertà dalla gabbia famigliare e sociale e verso la speranza di un futuro che sia proprio. Ciò avviene non tanto attraverso un cammino di formazione ed una presa di coscienza, quanto attraverso una sia pur parziale presa di fiducia. Precious appare fin dall'inizio consapevole di sé e della sua condizione di vittima imprigionata. Subisce le angherie di madre e padre senza mai trasformarle in colpe proprie. Ha soltanto bisogno dell'aiuto materiale e del sostegno di qualcuno per intraprendere la propria strada. Lo strumento dell'istruzione - messo a disposizione dalla classica insegnante tenace - e l'amore per i figli assumono in questo processo un ruolo fondamentale. La sceneggiatura porta a compimento questa parabola con encomiabile naturalezza, benché, forse, con troppa facilità. La protagonista, che ha poi vissuto una favola inattesa simile, in qualche modo, ai sogni di gloria del suo personaggio, catapultata cioé senza esperienza dall'anonimato al grande cinema, è un'esordiente individuata dopo lunghe ricerche. La scelta, come pure la sua interpretazione (coronata da nomination) sono in effetti ineccepibili. Diverso il caso della "madre terribile" Mo'Nique, già nota soprattutto al pubblico televisivo, che negli anni ha fatto dei chili di troppo un marchio ed una filosofia. Nel cast anche una Mariah Carey inaspettata e senza lustrini, e c'è persino un cameo di Lenny Kravitz, infermiere premuroso. 6 nominations agli ultimi Oscar, statuetta aggiudicata per Mo'nique, migliore attrice non protagonista, e per la migliore sceneggiatura non originale.

Produttore impegnato e coraggioso (Monster's Ball, The Woodsman), l’afroamericano Lee Daniels, in questa seconda prova da regista dopo Shadowboxer (incentrato su di una famiglia di killer), affronta il romanzo “Push” di Sapphire (poetessa che fece da insegnante alla ragazza protagonista) uscito nel 1996: raccontata in prima persona (con i titoli di testa “sbagliati” perché Precious non sa leggere e scrivere bene) da questa persona “preziosa” con cui la vita è stata inclemente, adotta lo stilema (già visto) del racconto altamente tragico filtrato attraverso gli occhi di un’infanzia che fugge nella fantasia (Precious protagonista, in bianco e nero, de La Ciociara e in visita sul set di All That Jazz). Una ragazza implosa, che “non viene fuori” (neanche a scuola si sono preoccupati di insegnarle qualcosa) ma si sogna bionda magra e bella, cantante e ballerina, diva amata da tutti. Una convenzione filmica è anche il “turning point” nella figura della maestra che accorre in aiuto (l’affascinante, brava, magnetica Paula Patton: fondamentale per la riuscita del film): a colpire al cuore, allo stomaco, è il cinema di Daniels (che subì abusi da bambino e mette molto in gioco se stesso), che riesce a non depotenziare il dolore con lo sprazzo onirico, e viceversa. Il primo arriva con tutta la sua violenza, il secondo non edulcora o svia ma stempera rendendo, anche, meno edificanti/schematici i doverosi temi di riscatto, conoscenza di sé, denuncia civile ed evoluzione psicologica. Fondamentali anche altre scelte di casting: l’aspetto sgraziato di Gabourey Sidibe, nel ruolo di Precious, non indora mai la pillola e Mo’nique, nel ruolo della madre, è davvero agghiacciante.