TRAMA
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, in Romania, si instaura al potere una dittatura comunista. Alcuni gruppi di partigiani armati si rifugiano allora sulle montagne cercando con ogni mezzo di contrastare il nuovo regime. I componenti di una di queste bande, guidata da Ion Gavrila Ogoranu, vivono per oltre dieci nascosti nei boschi inaccessibili del Sud dei Carpazi riuscendo a organizzare la resistenza e sfuggendo alla persecuzione della Securitate, la polizia segreta del regime. (dal catalogo del 28º TFF)
RECENSIONI
Stimato autore di (premiati) cortometraggi (tra cui il tragicomico Yellow smiley face, disponibile su youtube), Constantin Popescu (classe 1973) esordisce nel lungo, dopo avere realizzato un episodio di Racconti dell’età dell’oro, sorta di semplificatorio bigino di temi e stilemi del nuovo cinema rumeno. Portrait of the fighter as a young man si discosta dalla tendenza riassunta dal film collettivo, propenendo un cinema dal realismo asciutto, completamente spogliato da quello sguardo inesorabile quanto affettuoso, dai teneri risvolti grotteschi di quell’umanità vibrante e (/perché) mediocre dispersa nelle macerie di un Paese: nel rievocare la resistenza anti-comunista post-seconda guerra mondiale, Popescu guarda ai partigiani con occhio privo di giudizio, imbastendo uno script capace di guardare a luci e ombre dei suoi personaggi, in un congegno cinematografico opaco, che non si permette facili soluzioni. Cinema secco, privo di preconcetti morali nel trattare i suoi personaggi, allergico a psicologismi e drammatizzazioni spettacolari posticce, tuttavia non risparmia un ritratto semplicemente terrificante del Potere: mentre pare restituire la complessità del reale nell’approcciare il gruppo di resistenti, ricorda senza mezzi termini la banale, cristallina, superficiale mostruosità dell’Autorità. Ma ciò che stupisce, per lucidità teorica, è la manifesta consapevolezza del cinema come luogo della possibile falsificazione, dello sfruttamento dell'immagine (i momenti di unione e rilassamento tra i partigiani, testimoniati da riprese in 8mm, usate dalla polizia), questioni che in un film che tende al nudo naturalismo non è ininfluente: le didascalie finali metteranno in dubbio la ricostruzione cinematografica di un episodio (chiave) della storia rappresentata, aprendo l’intera monolitica opera alla fragilità della mera opinione, alla parzialità confessata del punto di vista, in un cinema spogliato dalla pretesa di sostituirsi al mondo e alla storia, limitato alla pura ricerca di altre traiettorie di sguardo, di altre necessarie prospettive.