TRAMA
Il porto di Yokusuka, grazie alla base navale americana, vive di commerci vari, compresa la prostituzione. Una banda decide di far soldi comprando i rifiuti delle navi per un allevamento di maiali: fra essi c’è un ragazzo ingenuo, pungolato dalla fidanzata affinché abbandoni tutto e viva con lei una vita più sana.
RECENSIONI
La pellicola che rese noto all’estero il cinema di Shohei Imamura, al tempo stesso realistico e grottesco, duro ma con speranza (nel finale): a parte certe magnifiche soluzioni espressivo-tecniche ricorrenti nel suo cinema (il primo carrello all’indietro per le vie della perdizione di questo porto, il plongée sullo stupro, la pioggia incessante), è il testo insieme tragico, pessimista, edificante (senza mai edulcorare il Male) a colpire nel segno. Un’allegoria sferzante, che esorta il Giappone a trovare la propria strada (quando un bambino legge un’elegia del proprio paese, Imamura inquadra i maiali…) mentre lo ritrae ad arrabattarsi nel dopoguerra (e, in questo, ricorda le acri commedie all’italiana) e a imbastire un parco-giochi umiliante a beneficio degli americani: le prostitute che accusano la polizia militare di affamarle con le loro retate, gli uomini che si vestono da hawaiani, i tipici figuri loschi del regista (vedi Desiderio Inappagato) che cercano il colpo grosso, il degrado cui conduce la fame (di denaro, d’amore), l’acculturamento dove, invece che i Jefferson e i Lincoln, gli indigeni preferiscono imitare i gangster dei film hollywoodiani (ma Imamura non si accontenta mai di una verità e fa dire a un cinese: “Leva la maschera all’idealista e troverai un maiale”). Nei suoi primi film, l’autore lavorava spesso con gli stessi attori e ripercorreva gli stessi temi (ad esempio, quello della donna che tenta di raddrizzare la via del compagno irresponsabile) e stilemi (riempire il racconto di personaggi, dettagli ed eventi) e, in quelli migliori, la sua iconoclastia e vena anticonvenzionale lo portavano a girare scene potentissime, memorabili: qui ci sono, almeno, quella in cui i maiali invadono lo schermo (di una potenza simbolica immane) e il doloroso finale. Unica pecca, la direzione degli interpreti, a volte troppo caricata sul versante comico.