TRAMA
Daniel viene mollato dalla ragazza e si fa di droghe pesanti, meditando un omicidio…
RECENSIONI
L’abisso poco nero
Pop Skull è stato accolto alla Festa di Roma come il male assoluto, l’immonda schifezza, lo scult da deridere in coro. Niente di tutto questo: il film di Wingard, che evita ogni linguaggio tradizionale e segue la strada anarcoide della videoarte, non convince ma è comunque lontanissimo dai fischi sciagurati che abbiamo dovuto sentire. Trama esile come uno stelo insanguinato, protagonisti irrimediabili dai volti stravolti, inquieti cambi di prospettiva, sonorità metalliche e pungenti, sovrapposizioni astratte di colore e sequenze squisitamente anti-narrative basate solo sulla stimolazione sensoriale (indovinate chi è il modello): un’opera che osa parecchio e procede per richiami e liberi accostamenti di immagini, spargendo torvi presagi e tracce indefinite di minaccia, verso l’imminente ipotesi di un delitto. Al contrario delle critiche pregiudiziali che colpiscono l’approccio stilistico, però, dove il film delude sembra tutt’altro campo: il soggetto e la sceneggiatura. Resta paradossalmente presente la necessità di ossequiare il plot tradizionale e cedere a tutte le sue sirene come se, a compensare la scelta estetica ardita, debba essere una pioggia di segnali narrativi canonici e riconoscibili. E’ così che la storiella di coppia (rottura – abisso – vendetta – omicidio) invade lo schermo, si fa presto trama scolastica e ingombrante, per consistenza adatta appena a un corto sperimentale. Film oscuro, storia chiara: la provocazione cade in contraddizione.
