Horror, Recensione

PONTYPOOL

Titolo OriginalePontypool
NazioneCanada
Anno Produzione2009
Genere
Durata96'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo Pontypool Changes Everything di Tony Burgess

TRAMA

Grant Mazzy è uno speaker radiofonico. Ha perso di nuovo il lavoro e l’unico impiego che gli viene offerto è la conduzione di un programma del mattino per la piccola stazione radiofonica CLSY, che trasmette dagli scantinati della chiesa della cittadina di Pontypool, in Ontario. Quella che sembra l’ennesima giornata priva di eventi rilevanti si trasforma invece in un incubo quando gli abitanti di Pontypool sembrano cadere in preda a una forma di follia collettiva provocata da un virus misterioso. (dal catalogo del TFF)

RECENSIONI

Un virus serpeggia per la piccola città (bastardo posto), ancorato (spoiler) alla parola: l’infezione si diffonde esponenzialmente, per fermarla bisogna comprendere quali sono le espressioni verbali virulente. Da uno spunto di script definibile geniale se paragonato alla media riservata da un genere derivativo e involuto, soprattutto oltreoceano, un horror atipico, concentrato in un unico ambiente, la parola come luogo drammatico di elaborazione del conflitto, un luogo astratto ben lontano dalla regnante centralità del corpo, low budget mediamente teso e intriso di humour carpenteriano. L’antidoto alla minaccia sono giochi di parole che mirano al collasso nel nonsense, perché “Non abbiamo mai detto parole sensate”: al saldo della trasfigurazione metaforica McDonald insegna allo spettatore a non cedere all’equazione realtà = linguaggio, a non lasciarsi manipolare (come un branco di zombi cannibali, la politica romeriana non si dimentica facilmente) dai media (l’ultima inquadratura, a titoli di coda ultimati, confermerà le frecciate rivolte alla falsificazione della realtà, meteoelicottero docet), dall’impero del gossip e dagli automatismi verbali che conducono a semplificazioni tendenziose e svianti. Kill isn’t kill. Kill is kiss. Pontypool fatica però a produrre una verosimiglianza interna, una compattezza drammaturgica che convinca lo spettatore a credere in questa paradossale e propedeutica riflessione sullo storytelling (ispirata alle conseguenze del celebre radiodramma di Welles, La guerra dei mondi), perdendosi lo script nella confusione che plasma, macchinoso inoltre nella gestione di personaggi in bilico tra la macchietta e il tutto tondo, goffo nell’affrontare l’equilibrio delicato dei toni del serioso e della parodia. Per fare a meno delle parole, in un verso: mmh.