Fantasy

POLLICINO

Titolo OriginaleLe Petit Poucet
NazioneFrancia
Anno Produzione2001
Genere
Durata90'
Sceneggiatura
Tratto dadalla fiaba di Charles Perrault
Fotografia

TRAMA

Una coppia di contadini, sfinita dalla carestia, decide di abbandonare i figli nel bosco.

RECENSIONI

Una histoire de sauvetage in cui un outsider passa da capro espiatorio a eroe: la fiaba di Perrault è un racconto morale sull’antinomia essere/apparire e un mirabile esempio di fantasia gotico-freudiana ante litteram, difficile da riscrivere per un medium basato non sull’incessante eloquio del narratore ma sull’inarrestabile flusso delle immagini. Olivier Dahan non rinuncia completamente alla voce off, ma elabora il materiale di partenza facendone un (ancora più) esplicito apologo “a posteriori” sulla necessità di confidare nelle proprie capacità, a dispetto di un mondo ottuso, ingrato, imbottito di pregiudizi. Il sentiero del protagonista è seguito da un secondo personaggio (presente nella fiaba ma modificato sostanzialmente), un’altra figlia “scomoda” che si rifugia prima nella fantasia, poi nella fuga dal regno dell’incubo (tutto bene, se non restasse il sospetto che la giovane Rose sia solo il pretesto per inserire il tocco sentimentale di prammatica). È certamente interessante il tentativo di riprodurre lo spirito minaccioso e ruvido dell’originale, dipingendo (alla lettera) miserie e orrori di ogni tempo che si legano anche troppo perfettamente agli oscuri riti iniziatici dell’infanzia (la figura del soldato dalla gamba di ferro rimanda a quella dell’orco, un uomo dal volto coperto da una maschera di metallo, quasi un Minotauro di primitiva tecnologia), e suggestivo il risultato visivo (un gioco di quinte astrali e selvose, che svelano e incorniciano ombre in movimento su fondali opulenti e raccapriccianti, così teatrali e antinaturalistici da conferire al dramma una dimensione insieme straniata e realistica, rivelatrice di una realtà primordiale altrimenti invisibile). Purtroppo la sceneggiatura presenta alcune incongruenze (l’ubriachezza dell’orco non dovrebbe comprometterne il fiuto, eppure il mostro cade nel tranello della bambola), non tutti gli snodi narrativi sono risolti in maniera soddisfacente (l’attacco dei lupi e l’incendio sono un mero riempitivo), c’è qualche (mal)vezzo di troppo (ralenti a non finire) e l’epilogo risulta eccessivamente conciliatorio (soprattutto rispetto alla sapida conclusione della fiaba). Nel prevedibile trionfo di scenografie e costumi (ispirati alle incisioni di Doré e un po’ a tutta l’arte francese da Enrico IV a Luigi XV, con effetti eclettici blandamente kitsch) spiccano, più ancora della principesca Deneuve, la dolente Bohringer e la tragica, umanissima (a dispetto del parentado e dell’abito da mozartiana Regina della Notte) Bouchez, di nuovo alle prese con l’età più acerba e n(/v)era.