Giallo, Recensione

POLICE, ADJECTIVE

Titolo OriginalePolitist, Adjectiv
NazioneRomania
Anno Produzione2009
Genere
Durata113'
Sceneggiatura

TRAMA

Cristi è un poliziotto cui viene affidato l’incarico di pedinare e incastrare un ragazzo, accusato da un suo compagno di liceo di consumare e spacciare sostanze stupefacenti. Raccogliendo alcuni resti di spinelli, l’agente cerca le prove del reato di spaccio, senza però trovarle. In Romania anche il consumo e il possesso sono perseguibili per legge, ma Cristi decide di non rovinare la vita di un giovane che si comporta come tanti suoi coetanei in altri paesi europei. Si rifiuta quindi di arrestarlo, contravvenendo agli ordini del suo superiore, convinto che presto la legge cambierà. (dal catalogo del TFF)

RECENSIONI

Cristallizzata nella forma del racconto letterario o cinematografico, l’indagine poliziesca è solitamente drammatizzata, decurtata dei tempi morti, rinvigorita di ostacoli e relativi superamenti che la rendano dinamica, fatta simbolo implacabile del dominio del raziocinio sul mondo: il genere italicamente denominato giallo abita l’estremo opposto al polo/noir: nel primo la logica torna a regnare dopo essere stata minata, la restaurazione dell’Ordine è lo scopo, la narrazione un meccanismo rigoroso di ricostruzione dei nessi causa-effetto, i moti dell’anima sono solo dati alla voce movente, il detective d’occasione l’entomologo che riduce il caos a un modello perfetto, senza sbavature, senza che nulla debordi; il noir d’altro canto trova nel dissidio degli individui territorio fertile, la ragione è solo vana presunzione, l’istinto domina, la casualità ridicolizza la causalità, si rapprende nell’errore, nella falla che annienta il piano criminale, specchio narrativo della lacerazione, della natura intima dell’individuo che si fa strada mortificando schemi, strutture, riduzioni di senso. Politist, adjectiv, opera seconda di Corneliu Porumboiu, autore consacrato dall’esordio A est di Bucarest, è un giallo, nel profondo. In superficie Porombiu annichilisce l’energia drammaturgica, elude turning point ad effetto, s’immerge nel quotidiano pedinamento di un’agente costretto a pedinare, incamerandone la mesta immobilità della routine via pianosequenza, la trama componendosi di inutili e reiterati appostamenti, di dialoghi/interrogatori incartati nel grottesco consueto del banale, il teatro dell’assurdo d’ogni giorno, i canoni del genere detonati dalla monotonia della realtà. Ma il fine ultimo è preservato, risalta per contrasto: nel protagonista si manifesta il dubbio etico, una riflessione sulla discrepanza tra legge e giustizia, ma l’ordine costituito non considera deviazioni dalla morale imposta: il commissario, armato di dizionario, riduce la coscienza e la morale dell’agente a definizioni costrette, chiuse all’instabilità degli interrogativi, il linguaggio si afferma arma di semplificazione, sovrastruttura faziosa, forma del potere. La logica dominante trionfa. Porumboiu si concentra nuovamente sul distacco tra realtà fattuale e realtà filtrata, tra verità e percezione, non dissimulando mai il suo intento, ribadendo continuamente nei dialoghi lo scarto tra linguaggio e reale (nel contesto di inquadrature che rigettano la bella grafia, come se l’asimmetria e gli scompensi nel bilanciare i volumi all’interno del quadro fossero una prima forma di rivolta, scelta di presunta trasparenza, di tentato annullamento della manipolazione), sino al finale, dove l’ansia dimostrativa si fa impietosa, sarcastica, feroce didascalia. Fotografia mai edulcorata della situazione rumena in forma di metonimia, pregna di lucido umorismo, conferma temi e stilemi che permeano compatti la cinematografia nazionale e avvalora l’impressione serbata da A est di Bucarest: quello di Porumboiu è talento cristallino.