TRAMA
1982: La NASA manda nello spazio immagini della vita e della cultura terrestre, videogiochi compresi. Gli alieni capiscono male e, trent’anni dopo, ci attaccono con delle copie evolute di Centipede, Pac Man e Donkey Kong. Adam Sandler ne approfitta per conquistare Michelle Monaghan.
RECENSIONI
Un film sui videogiochi dei primi anni ’80. C’erano buone promesse per un sogno bagnato nerd capace di intercettare il pubblico generalista di età compresa tra i 35 e i 45. Poi vedi che il protagonista è Adam Sandler, gli sceneggiatori sono due sandleriani e il regista è Chris Columbus. E i facili entusiasmi si smorzano. Sandler è una specie di installazione minima di Ben Stiller, o meglio, una sua versione innocua e/o reazionaria privata di qualunque tipo di talento comico. Columbus non azzecca un film dai tempi di Home Alone, e ha passato i venticinque anni successivi a dispensare melassa (Mrs. Doubtfire), noia (Harry Potter) o disastri (Percy Jackson).
Pixels, purtroppo, ratifica tutti i pre-giudizi e le perplessità. Sandler, come sempre, non sembra aver capito il suo personaggio e lo sospende in un non-registro illocalizzabile. La sceneggiatura parte da una premessa forzata che ci poteva anche stare (il tragico malinteso con gli alieni) ma poi naufraga nell'inconcludenza e nell'incoerenza interna. Per dirne una: manca il round finale dal quale dipende la sopravvivenza dell'umanità e viene organizzata un mega party per festeggiare il punto del pareggio? E in che modo, esattamente, Eddie Plant avrebbe fatto funzionare i cheat codes? Semplicemente 'leggendoli' sugli occhiali? Infine, trattandosi fondamentalmente di una commedia, dove sono le parti divertenti? L'umorismo, quando c'è, è quello tipico delle produzioni Sandler: banale, grossolano, volgare senza mai diventare liberatorio.
Columbus fornisce la solita prova registicamente neutra, se non fosse per un’ostentata mancanza di senso del ritmo, ignoranza dei tempi comici e per la consueta incapacità di mettere a frutto i milioni di dollari gentilmente offerti dalla produzione.
E i videogiochi? Lì le cose vanno un po' meglio. Intanto i nomi sarebbero anche quelli giusti: da Pac Man a Frogger, passando per Burger Time, Centipede e Donkey Kong fino ad arrivare a Joust, Asteroids o Galaga. Il problema è che, forse, non occupano quella posizione centrale che ci si aspettava, specie da un punto di vista Nerd, categoria questa che troverà, ragionevolmente, poca carne al fuoco con cui divertirsi (oltre a vedersi ritratta in maniera un po' schematica e passé, tipo 'cicciottello sfigato che vive ancora con la mamma' o simili). Ma insomma, il passaggio dallo spixellamento 8 bit alla CGI su grande schermo è complessivamente efficace, benché l'impressione generale rimanga quella dell'occasione e delle risorse sprecate. Anche se sono probabilmente due i momenti più competenti, in ambito videoludico: uno è quello in cui vengono confrontati, concettualmente, i VG di una volta con quelli moderni, e viene posto l'accento sulla schematica ripetitività dei primi contrapposta all'imprevedibilità ed apertura dei secondi (argomento sul quale ci sarebbe molto da discutere, visto che il noto procedimento trial & error non è scomparso in epoca contemporanea, ma che insomma è un punto non banale capace di stuzzicare anche il palato degli appassionati). L'altro è di stampo più sentimentale/nostalgico, ossia il faccia a faccia tra Tohru Iwatani e la sua creatura, Pac Man, con annesso discorso pacifista legato alla genesi del gioco Namco [e finale a (non) sorpresa].
Piccoli punti a favore di un film che comunque, preso nel suo complesso, rimane il solito Sandler-Movie nel quale il nostro, bruttarello, sovrappeso, antipatico e dotato di uno humour raggelante, conquista la bellona simpatica e intelligente di turno.