TRAMA
Sfide a ping pong: vittorie sconfitte e solitudini di due studenti.
RECENSIONI
“Ping pong” ha il difetto o il pregio di essere esattamente tutto quello che ci sia aspetta che sia, cosa peraltro forse inevitabile per un film che si ispira a un manga. E’ la storia di due studenti che condividono la passione per il ping-pong fin da piccoli. Il più fragile e riflessivo dei due pur essendo più talentuoso del secondo (al contrario sbruffone e arrogante) non riesce a batterlo (e ad avviare la sua carriera di giocatore) per via della forte amicizia che li lega. Assistiamo così al percorso di formazione dei due adolescenti vissuto attraverso la loro epopea eroico-sportiva. Ci si aspetterebbe almeno un certo virtuosismo stupefacente nelle scene di gioco che però non arriva mai. Ci sono tutti gli ingredienti per mandare in estasi gli appassionati del genere e per lasciare totalmente indifferenti tutti gli altri.

Sport Atipico, Coppia Tipica
Sport e iniziazione alla vita. Binomio indissolubile che ha spesso ispirato il cinema, e non solo orientale. Questa volta tocca al ping-pong, sport perlomeno poco frequentato. Meno originale la scelta dei due protagonisti, prima amici di infanzia e poi rivali sul tavolo da gioco: Smile è occhialuto e introverso, Peko è esuberante e sfrontato. Il contrasto dei caratteri non fa però scintille. Ci vengono risparmiati i pistolotti edificanti sui valori veicolati dallo sport, ma non si esce da una logica di perdente contro vincente. Anche se non sembra essere questo ciò che interessa al regista Sori Fumihiko, uno dei più richiesti tecnici di computer grafica del Giappone, già supervisore agli effetti visivi per Titanic di James Cameron. La competizione non regala infatti gare appassionanti e coinvolgenti, nonostante la narrazione sia quasi esclusivamente incentrata su prove e tornei. Ciò che il regista pare avere a cuore sono i limiti visivi imposti da uno spazio angusto. Ecco quindi il tavolo da gioco estendersi e la pallina seguire traiettorie impossibili per consentire al regista di prodursi in virtuosismi della macchina da presa abbinati a un cospicuo utilizzo della computer grafica. Il dettaglio prevale sulla visione d’insieme e il risultato lascia tutto sommato impassibili. I numerosi match si succedono quindi con una certa monotonia, senza riuscire nemmeno a procurare affezione verso i personaggi. Qualche approfondimento psicologico è abbozzato attraverso alcuni flashback in fotografia desaturata, ma sui personaggi prevalgono le urla di giubilo o disperazione che fanno da corollario ai tornei. Alla fine risulta più divertente e simpatica una puntata di “Mimì e le ragazze della pallavolo”.
