Animazione, Recensione

PINOCCHIO (2012)

NazioneItalia/ Francia/ Belgio / Lussemburgo
Anno Produzione2012
Durata78'
Tratto dadal romanzo “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” di Carlo Collodi
Fotografia

TRAMA

Le note avventure del burattino di legno Pinocchio.

RECENSIONI

L’interrogativo che immediatamente si pone prima di avventurarsi nel “Pinocchio” di Enzo D’Alò verte sulla necessità di un’ennesima rivisitazione di una delle favole più celebri del mondo, dopo il film della Disney del 1940, la serie televisiva di Luigi Comencini del 1971, il fallimentare film di Roberto Benigni del 2002, giusto per ricordare alcuni tra gli innumerevoli adattamenti che traggono ispirazione dal romanzo di Carlo Collodi. Probabilmente, come accade quando un’idea prende vita, si tratta dell’unione di un personale e imprescindibile sentire (pare che il regista Enzo D’Alò abbia attinto molto dai propri ricordi di figlio) con esigenze di mercato. È sicuramente più facile vendere un prodotto eseguito professionalmente che cavalca un immaginario noto (il libro di Collodi è il terzo più venduto al mondo dopo la Bibbia e il Corano) piuttosto che partire da zero. Il risultato si apprezza prima di tutto per la ricerca sottesa al progetto. Nulla è lasciato al caso nella visione di D’Alò che, grazie alla collaborazione con il disegnatore e fumettista Lorenzo Mattotti per la realizzazione di personaggi e ambienti, crea un universo dai colori accesi intensamente connotato dove è piacevole perdersi. Rispetto ai tanti epigoni D’Alò sceglie una maggiore fedeltà al testo di origine, recupera personaggi andati perduti (una Fata Turchina bambina, il Pescatore Verde, un colombo, il giudice gorilla, il mastino Alidoro), ridimensiona ruoli che si supponevano determinanti (il Grillo Parlante, poco più di una comparsa), trova riferimenti precisi nella definizione degli spazi (la pittura metafisica di De Chirico è una costante, così come il paesaggio toscano), cattura l’irrazionalità bambina del burattino di legno dove l’irriverenza è sinonimo di vitalità, vira la morale verso il rapporto padre/figlio piuttosto che sul piano meramente educativo (il bravo figlio del film si sostituisce al bravo bambino del libro), e fa della colonna sonora del compianto Lucio Dalla quasi un protagonista trasversale, in libero ed estroso gioco con i generi musicali.

La poesia è accarezzata dal volo a perpendicolo di un aquilone che traghetta passato e presente in un legame indissolubile, ma l’incanto vacilla sotto il peso degli snodi su cui il racconto non può evitare di soffermarsi. E così la “via crucis” di Pinocchio passa, non sempre con fluidità, da una tappa all’altra del cammino di crescita e formazione previsto dalla favola: un Mangiafuoco finalmente comprensivo gli offre una possibilità di riscatto, ma il Gatto e la Volpe lo ingannano con facilità e Lucignolo lo attira verso il lato oscuro, in un Paese dei Balocchi caleidoscopico ed esagerato. Il finale con la balena e il ritrovamento di Geppetto arriva particolarmente sbrigativo, evidenziando quello che si configura come il maggior difetto dell’opera: una certa meccanicità nel susseguirsi degli eventi. Il fascino è quindi soprattutto visivo e legato a singoli momenti che, pur negli sforzi della sceneggiatura, più che legarsi si rincorrono. L’insieme gode comunque di una certa organicità grazie principalmente alla continuità stilistica e ridefinisce l’immagine di Pinocchio con positività, creando un retrogusto se non proprio solare, perché venato di malinconia, comunque non punitivo. Alla fine, quindi, pur non sentendone la necessità, si finisce per apprezzare lo sforzo di D’Alò di ritornare alle origini assumendosi responsabilità, evitando facilonerie, ma, soprattutto, cercando, e in parte trovando, il bello.