TRAMA
L’incapacità di affrontare la morte dei propri cari porta la famiglia Creed a ricercare soluzioni dalle conseguenze inevitabili…
RECENSIONI
Andare a rivangare adattamenti mediocri per resuscitarli in maniera pressoché testuale non è esattamente un’operazione dalle prospettive più rosee, come ogni cultore di horror dovrebbe sapere. Il nuovo Pet Sematary, che a trent’anni da Cimitero vivente riporta in sala il certo non fondamentale romanzo omonimo di Stephen King, adotta nei confronti del precursore due approcci solo apparentemente opposti: la riproposizione pedissequa di situazioni e perfino inquadrature da una parte e l’improvviso stravolgimento di alcuni dettagli dall’altra, che pur tradendo le aspettative naturalmente modulate sul primo film, non sposta minimamente il corso di questo dall’alveo originario. Emblematica la scena del taglio del tendine d’Achille, in cui Jud sembra ricordarsi e sventare l’imboscata da sotto il letto di trent’anni prima, per poi essere attaccato comunque nel medesimo punto una manciata di secondi più tardi. Il tutto si riduce quindi a uno sterile gioco metatestuale che forse può a tratti divertire – a patto di conoscere il primo film – ma fallisce su ogni altro fronte, mancando da una parte un disegno sensato e il più possibile autonomo rispetto ai testi da cui il film deriva, e appiattendo dall’altra significati e caratterizzazioni del romanzo senza alcun ritorno in termini di ritmo avvincente e atmosfere evocative. Come i morti che si risvegliano diversi ma alla fine dimostrano (sconclusionatamente, in una chiosa spudorata e ridicola) di essere tali e quali a prima, nel loro ricercare – con la morte – la paradossale ricostruzione dei legami familiari senza cui non potevano vivere, così il film cerca di sottolineare la sua divergenza ma finisce con l’affermare il suo apatico e smorto soccombere soffocato dai suoi stessi cordoni ombelicali. “As soon as you feel the power of that [novel], you come up with the best excuses to go back. But sometimes death is better.”