Commedia, Recensione

PERDUTO AMOR

TRAMA

Bildungsroman frammentario e lacunoso, PERDUToAMOR, ambientato nella Sicilia degli anni ’50, è la storia di Ettore Corvaja, promettente musicista in erba che una volta trasferitosi a Milano si scopre scrittore…

RECENSIONI

PERDUTO AMOR appare costruito come una (riuscita) canzone del Battiato musicista: sprazzi di poesia, citazioni colte, momenti di (voluta?) ingenuità e un retrogusto comunque appagante, la sensazione di aver ascoltato/visto qualcosa di personale, valido e genuinamente “artistico”. Quando poi i difetti e le forzature sembrano troppi, il fan di Battiato trova rifugio nella proiezione di una presunta (auto)ironia che stempera i momenti più seriosi ed eccessivamente “battiatiani”: - mi piacciono le scelte radicali, la morte consapevole che si autoimpose Socrate, e la scomparsa misteriosa ed unica di Majorana, la vita cinica ed interessante di Landolfi, opposto ma vicino a un monaco birmano, e la misantropia celeste in Benedetti Michelangeli -... quanto va preso sul serio un testo del genere? Quanto e perché Battiato fa Battiato che fa Battiato? Se il Battiato musicista gioca dunque sul limine dal lofai al cisei, ricavando un plusvalore di fascino dall’incertezza che ne deriva, quello cineasta, alle prime armi dunque meno sicuro di sé, sembra giocare a carte scoperte, scegliendo (e forzando) più spesso i registri del comico e dell’autoparodico; d’altra parte vivere non è difficile potendo poi rinascere, cambierei molte cose, un po’ di leggerezza e di stupidità, e così la rinascita artistico-cinematografica di Battiato, PERDUToAMOR, sembra spesso leggera e quasi stupida, trasposizione filmica fedele ma caricaturale dei suoi provocatori sperimentalismi musicali (la breve sequenza proiettata al contrario), del suo fruttuoso pizzicare le corde della nostalgia cosmica, del suo citazionismo alto (il fellinianissimo piano-sequenza che si chiude con la nave che va) e di quello basso (le molte comparsate musicali, non tutte propriamente eccellenti) nonché, più in generale, del suo simpatico snobismo. E’ soprattutto in queste linee fondamentali, più che nella vicenda in sé (diluita in quadretti e immagini piacevolmente incoerenti) che PERDUToAMOR risulta una riuscita ed “esegeticamente” utile autobiografia artistica (non a caso scandita da canzoni e canzonette) di Franco Battiato, il quale sembra anche chiarire il ruolo del poeta-filosofo Manlio Sgalambro, nel film il poco ascoltato precettore filosof(ic)o del protagonista, che a partire da L’ombrello e la macchina da cucire è il suo unico e imprescindibile paroliere; maestro burlone e insieme alter ego, Sgalambro è l’ideale delegato di chi all’intelligibilità ha progressivamente preferito la semplice comunicazione, senza timore di scivoloni, ingenuità e (ridicole?) forzature che estremizzano l’essenza stessa del Battiato più criptico e criticato, quello che passa da Callimaco, a Guenon, a Pascal a “passavi appena le sottili dita sul prepuzio poi sfioravi il glande” senza soluzione di continuità. Ebbene, da PERDUToAMOR apprendiamo che Franco Battiato (e Manlio Sgalambro) ci/si prende ancora più in giro di quanto già non sospettassimo. Buono a sapersi.