Commedia, Drammatico, Netflix, Sentimentale

PENSAVO FOSSE AMORE… INVECE ERA UN CALESSE

TRAMA

Tommaso e Cecilia, giovani fidanzati napoletani: il matrimonio dei due è alle porte, ma la gelosia di Cecilia rischia di rovinare tutto.

RECENSIONI

Ancora un travaglio sentimentale di mezzo, ancora cinema che si costruisce attraverso i personaggi e i dialoghi ma, stavolta, Massimo Troisi punta più in alto, parlando di Amore come concetto astratto e dei relativi patemi, fa “filosofia”, alla sua maniera, sorprendendo favorevolmente nel modo in cui riesce a fotografare i luoghi comuni e salienti di uno stato di mente (o di cuore) e per come riesce a dare, in due battute sfuggenti (quelle del titolo, quelle di una commedia comunque leggera) una risposta alla domanda più difficile, “Cos’è l’amore?”: è inevitabile, inspiegabile ma comprensibile. In quest’opera di una sopraggiunta maturità che lo ha strappato alla Settima Arte troppo presto, non si avvertono più le impasse, drammaturgiche (attese) e verbali (la logorrea), del passato, l’autore imbastisce un teatrino comico, sarcastico, ironico-amaro e sentimentale ricchissimo di sfumature, trame, personaggi, situazioni, attori (da ricordare Angelo Orlando e Marco Messeri) che lo servono alla perfezione in una difficile (perché sottile) e riuscita digressione sull’argomento.

«Perché calesse? Per spiegare al meglio la delusione di un qualcosa le cui aspettative non sono state mantenute, poteva essere usato un qualsiasi altro oggetto, una sedia o un tavolo, che si contrappone come oggetto materiale all'amore spirituale che non c'è più. Mi piaceva e poi si possono trovare tante cose con il calesse: si va piano, si va in uno, si va in due, ci sta pure il cavallo... Quando non è più amore ma «calesse», bisogna avere il coraggio della fine, piano piano, con dolcezza, senza fare male... Ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell'inizio. Le storie d'amore non mancano mai nei film, quindi farne un'altra mi sembrava una cosa né stupida, né eccezionale ma raccontata in questi termini mi incuriosiva».
Massimo Troisi