Drammatico

PELO MALO

Titolo OriginalePelo malo
NazioneVenezuela/Perù/Argentina/Germania
Anno Produzione2013
Durata93'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia

TRAMA

In una megastruttura abitativa della periferia di Caracas, Junior, nove anni, vive con la giovane madre Marta, vedova e disoccupata. I rapporti tra i due sono tutt’altro che amorevoli: a disturbare Marta è l’ossessione del figlio per il proprio aspetto; dal canto suo Junior vorrebbe soltanto potersi stirare i capelli, crespi e scarmigliati, così da fare bella figura nella foto di classe. Per Marta, però, impegnata nella quotidiana lotta per la sopravvivenza, i vezzi del figlio risultano intollerabili, tanto da arrivare ad accusarlo di ambiguità sessuale. In un crescendo di soprusi e incomprensioni, Junior si troverà a dover affrontare in modo doloroso le frustrazioni della madre, resa cieca dalla sua stessa vulnerabilità. (dal catalogo del Tff)

RECENSIONI


Vincitore del Festival di San Sébastian (presidente di giuria Todd Haynes), Pelo malo, ambientato nel miasma/marasma della periferia di Caracas, è cinema all’insegna d’un realismo che cerca di risalire dagli abissi, che non si pasce nella scientificità del degrado, mai in ostaggio di uno sguardo rassegnato all’inevitabile balia degli eventi. E’ invece il frutto di una filosofia progressista che sicuramente arranca, stremata com’è da sicumere antropologiche e apocalissi quotidiane, ma che tenta di rifondare un sentimento umanista partendo dai dati di fatto di questa certa e disperata carestia: sceglie un rapporto madre/figlio per verificare l’opera dell’ambiente socioculturale sull’individuo, per cercare quel che resta al di fuori di quanto già scritto dal mondo, scovando residui di esistenza in questo rigor mortis, in questo cupo scomparire dell’io desiderante nelle dinamiche economiche e politiche del mondo. Quel che importa, dunque, è che cerchi una dialettica, pur trovando una sconfitta. Perché è un cinema che accompagna l’assenza di pietas narrativa dell’art film europeo verso lo sguardo borghese sulla miseria tipico di certo autorialismo sudamericano. E trova, a tratti, una sua misura, che non cerca catarsi accomodanti, ma nemmeno s’abbandona a un irredimibile vittimismo. Così, in Pelo Malo, si rovesciano nel rapporto tra i due protagonisti il machismo omofobo di una cultura guerresca, la cieca idololatria per la figura dell’uomo salvatore, la coatta semplificazione identitaria di un ceto che non può che anelare alla semplice sopravvivenza, il definito orizzonte della donna, le laconiche risposte alle domande di gender, l’abissale scontro tra il reale e i modelli televisivi: e tutto questo seme fiorisce e appassisce nelle tensioni tra i due, nutre l’Edipo, l’intima natura materna e filiale, la storia profonda e la singolarità degli individui. L’umanità, ritrovata nella sociologia. Purtroppo, però, il programma etico ed estetico della regista non sa sempre sciogliersi nella verità del racconto, e a tratti la ammorba, irrigidendola con scelte prevedibili, eccessi d’arrotondamento, facili forzature di scrittura.