TRAMA
La sedicenne Nicole s’innamora di un mezzo delinquente che alterna, ambiguamente, dolcezze e violenza ed è inviso al padre di lei.
RECENSIONI
La paura di perdere una figlia. La paura di perdere un amore. L'assedio allegorico alla geometria della famiglia. L'assedio alle regole di un genere, il thriller, che pretende manicheismi, stigmatizzazioni, tronfi trionfi dell'Ordine dopo aver stimolato il Caos. James Foley fallisce come il gruppo stile Arancia Meccanica che semina il terrore nell'alveare della famiglia borghese. Parte bene, gioca in casa: l'assetto familiare che si corrode al crescere delle frustrazioni, dei sensi di colpa, delle ansie di libertà, dei meccanismi di competizione. La prima parte pone in essere la "seduzione" della ragazza di buona famiglia da parte di un soggetto sfuggente. Il clima è torbido, lo sguardo sposa la soggettiva "clinica" dell'estraneo con un diabolico Teorema, ma fa l'amore anche con il candido stupore delle adolescenti che scoprono il sesso, i sentimenti e il potere del proprio corpo. Lo studio di Foley è quasi sociologico e psicanalitico, ma la trama scritta dal convenzionale Christopher Crowe (regista del thriller Perversione Mortale) bussa insistentemente alla porta e riporta nei ranghi i voli pindarici del regista, intenti a confondere le acque parlando di Lolita e (in anticipo) American Beauty, ipocrite gelosie e audaci orgasmi sulle Montagne Russe. Il volto del "mostro" assume connotati repellenti e a niente valgono alcuni dettagli che potrebbero ingentilirne i tratti (è veramente innamorato; il torto risiede nel dispotismo del padre; chi corrompe chi?). Il nucleo familiare si chiude in se stesso, addita le Cattive Compagnie, smette i panni provocatori (notare che Nicole cambia il proprio abbigliamento) e, all'esterno, scopre le patologie insanabili dei solitari e dei reietti, per cui non esiste appello.