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TRAMA
Alain Cavalier e Vincent Lindon, legati da un rapporto simile a quello tra un padre e un figlio, si filmano, tra un bicchiere e l’altro, impersonando uomini di potere in un gioco tra realtà e finzione. (dal catalogo del TFF 2011)
RECENSIONI
Due uomini: un regista e un attore. Un compito: impersonare un uscente Presidente della Repubblica francese e l’uomo prescelto da questi alla successione. E poi, semplicemente: discutere, discutere. Del mettere in scena e del vivere la scena, della cosa cinematografica e di quella politica, della finzione come della realtà. Indistintamente, nel flusso sempre identico dell’immagine digitale, nell’intimo di salotti borghesi che rimangono tali anche quando significano altro, anche quando stanno per un altrove, per le sale - soprattutto - del Potere. Alain Cavalier invita Vincent Lindon a una danza lieve ed elegante, a un ballo a due in cui la telecamera scandaglia gli strati di un elaborato sistema patriarcale. Il regista sull’attore, una generazione sull’altra, l’ombra di un Potere maturo e pervicace su uno nuovo e insinuante. Giocano l’uno - sobriamente - contro l’altro, Cavalier e Lindon, in una rappresentazione totalmente avvinghiata alla realtà, dove il sono e il se fossi, la vita e la posa non necessitano di differenziazioni, un luogo in cui la mappa coincide letteralmente con il territorio. In principio fu il dispositivo, le regole dettate, infine è la ricerca della grazia: la telecamera registra il gioco, il montaggio seleziona, quel che rimane è una guerra borghese, un kammerspiel educato, un esercizio di dialettica acuto, che con pacato e sottile sadismo dice dei meccanimi del Potere, cogliendo nel processo verità, raggiungendole nel suo farsi, senza la funebre necessità di impagliarle e, poi, imporle. Perché l’home movie, per Cavalier, non è la forma del familiare, ma lo strumento d’indagine di un’unità inestricabile. La scena è il retroscena, la vita è imitation of life. Il pubblico è il privato. Per questo Pater se ne fotte della fiction se non come forma del reale, per questo chiede allo spettatore una fede differente, per questo non sospende la credulità, ma la mette semplicemente in gioco, giocando con il dubbio, titillando e superando la domanda ontologica. Per questo Pater propone un’arte che dialoga coerentemente con il tempo dei nuovi media, con le forme ibride smerciate gratuitamente, con la democratizzazione virale della rappresentazione filmica. Leggero e intimo saggio di retorica, è un divertissment radicalmente, esteticamente, politico: se nulla è (messo) in abisso è perché l’abisso è, leggiadramente, lo stato delle cose.
