Drammatico, Recensione

PARIGI

TRAMA

In attesa di un trapianto cardiaco, Pierre passa le giornate ad osservare le persone che si trovano a passare nel suo quartiere.

RECENSIONI

La Ville Lumière come metafora della vita: le esistenze si sfiorano senza incontrarsi, lo sguardo si posa ora su una tessera del puzzle ora sull'altra. A volte il dettaglio rivela il disegno nel suo complesso, più spesso è solo un indizio perduto nel mare di comignoli, nuvole e piste false. Mentre si rievoca il passato e si sogna il futuro, tutto finisce (forse) e tutto sta per ricominciare, anzi è già qui. Klapisch costruisce attorno al suo attore feticcio Duris un film furbetto ma non per questo stupido, nutrito in pari misura di Altman e Lelouch, sostenuto da una scrittura effervescente e servito da una strepitosa squadra d'interpreti (una radiosa Juliette Binoche e un esilarante Luchini su tutti). Nulla di nuovo in questa ronde di insoddisfazioni, malattie più o meno immaginarie, derive esistenziali e tradimenti (im)possibili, ma la grazia parigina (bella forza...) con cui il regista condisce il polpettone lo rende digeribile e a tratti quasi appetitoso. La cornice scricchiola (prologo ed epilogo ribadiscono il tema del film con una pedanteria abbastanza molesta) ma il quadro regge bene, grazie al sapiente dosaggio di sorrisi e malinconie, e più ancora per la misura non poco civettuola con cui Klapisch dosa i tempi e gli scarti narrativi. Così, per descrivere la malattia di Pierre è sufficiente mostrare la prima crisi farmacologica e il fiato corto nella scena della festa; l'incubo animato di Philippe assume proporzioni epiche in virtù della "ragionevolezza" figurativa del film nel suo complesso; la seduzione della modella nella macelleria, carne viva tra le carcasse, è un'immagine fulminante e carica di erotismo. Parigi è mero intrattenimento, cartolinesco fin che si vuole, ma realizzato con sicuro mestiere e impeccabile professionismo. Di quanti altri film analoghi (italiani, ma non solo) possiamo dire lo stesso?