TRAMA
Georges Clou vive a Parc, ama la moglie, il figlio e la propria casa. Paul Marteau è ricco e solo e va a vivere a Parc. Un chiodo (“Clou”) è una vittima perfetta per un martello (“Marteau”)…
RECENSIONI
Rilettura di un romanzo di uno decani del minimalismo americano (John Cheever) poco considerato dal cinema (si ricorda soltanto Un uomo a nudo di Frank Perry, tratto da uno dei suoi tanti racconti) e qui completamente rimeditato (la struttura di Bullet park, l'opera letteraria, era decisamente ardita e di struttura quasi sperimentale; l'ambientazione americana anni 60, poi, si è trasformata: siamo in Francia ai giorni nostri), Parc è una riflessione sulla falsa sicurezza borghese (in questo senso l'elegante sobborgo del romanzo si attaglia perfettamente al modello contemporaneo di “parco residenziale”- città privata, così come già rappresentato ne La zona) imbevuta di elementi di attualità ma assolutamente non consacrata a tale dato di fondo, stante la brillante messinscena, densa e piena di soluzioni originali (il bellissimo piano sequenza che, durante la festa, si muove in avanti e all'indietro mentre Evelyne elenca tutti i vizi del marito). Il malessere serpeggia in svariate forme: se il figlio di Georges (Sergi Lopez) vegeta su un letto e soffre come un cristo in croce, Paul, a mezza strada tra il disprezzo per l'umanità e un riposto desiderio di esserne parte, medita vendette moralistiche ed eleva Georges e la sua famiglia a simbolo di una condizione esecrabile, come tale da distruggere. Diverse ricchezze, diversi agi a confronto, diversa noia esistenziale si rispecchiano. I vari monologhi del romanzo sono ridotti alla voce fuori campo di Paul, un Jean Marc Barr di inquietante efficacia. Un film che delega tutto alle atmosfere (il regista, per la prima volta alle prese con una riduzione, ha affermato di non essere partito da idee di sceneggiatura, ma di immagine e di suono), alle eleganti immagini, ad attori misurati e perfettamente in parte.
