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PALO SANTO: CONDANNATI ALLO SHOW


Palo Santo (Years & Years)
diretto da Fred Rowson
  

Palo Santo compone in forma di cortometraggio i due precedenti video degli Years & Years Sanctify (il ritornello più bello dell’anno) e If You’re Over Me, raccontando di una società immaginaria in cui gli androidi frequentano cabaret in cui performer umani vengono usati per l’intrattenimento. Nel primo video l’androide (un signore dai tratti orientali, #10) recupera dalle rovine della civiltà un esemplare umano (Olly Alexander) e lo conduce a Palo Santo per essere sottoposto al giudizio di una commissione che, verificata la sua esibizione, lo seleziona per lo spettacolo. Nel secondo video Alexander propone al pubblico androide il suo numero di canto e danza in una coazione a ripetere che potrebbe durare anni (gli androidi sperano, attraverso le esibizioni nel cabaret, di riuscire a provare emozioni vere). Mentre alcuni spettatori percepiscono effettivamente delle vibrazioni causate dagli spettacoli proposti, gli umani si mettono in scena corpo e anima. E Alexander è attratto da uno dei ballerini con i quali condivide l’esibizione. Mentre i due segmenti suddetti presentano tradizionalmente il brano, il cortometraggio non si limita a metterli insieme, ma tritura le tracce piegandole a una narrazione ampliata (che ricomprende anche uno stralcio del pezzo omonimo), concedendo centralità ai personaggi e ad aspetti del racconto non esplorati nei due primi video. Così comprendiamo che #10 – che ha selezionato Alexander – ne è anche sessualmente attratto e che gli androidi non hanno un’identità sessuale predefinita («Ti piacciono gli uomini, le donne o entrambi?» gli chiede Alexander «Per me le due cose sono uguali» risponde il replicante): ne condividerà il letto.
Alla fine #10 verrà terminato (come all’inizio era stato eliminato il suo predecessore, #9 – anche lui attratto da un umano del suo sesso e probabile procacciatore della performer penosa che si esibisce nell’incipit -) e sostituito da una replicante donna, #11, molto meno empatica, tanto che Alexander, costretto al palco, come rendendosi conto solo in quel momento che si tratta di una condanna, non ha più voglia di esibirsi.

Il regista Fred Rowson, collaboratore abituale del gruppo, ancora una volta punta sulla personalità di Olly Alexander, su una corporalità che il cantante sa sempre come mettere in gioco. In questo senso l’avventura video della band è tra le più interessanti e ardite degli ultimi anni: senza mai scivolare nella pura provocazione, ha sempre proposto serenamente, quanto esplicitamente, un immaginario sessuale fluido, libero, gaudente. In questo long video Alexander non si pone problemi nell’esplorare situazioni più inquietanti e nell’impersonare una sorta di toy-boy al laccio di un padrone programmaticamente anaffettivo, in un rapporto (che sa di metafora) nel quale alla fine un sentimento fa capolino. E riflettendo anche sulle relazioni sessuali convenienti al sistema, sulla libera esibizione del proprio modo di essere – il testo di Sanctify, del resto, parla proprio della mascolinità usata come una maschera, di esperienze sessuali che Alexander ha avuto con uomini sedicenti straight («You don’t have to be straight with me/ I see what’s underneath your mask/ I’m a man like you,/ I breathe the rituals of the dancer’s dance») – e sullo sfruttamento degli artisti, costretti a massacranti tour de force (un riferimento alla vicenda di Avicii e alle dichiarazioni di James Blake?) .
Con Ben Whishaw nella parte di un ologramma che dà il benvenuto a Palo Santo e Judi Dench (la voce della regina di Palo Santo).