TRAMA
Un volontario francese parte per la Romania l’indomani della caduta del regime di Ceausescu.
RECENSIONI
Esordio nel lungometraggio di Marco Pontecorvo, Parada si presenta come film di denuncia, ispirato alla vera storia del clown Miloud Oukili: schematico, didascalico, popolato di figure di rara unidimensionalità – non esistono le sfumature nel tratteggio dei caratteri: i buoni da un lato, i cattivi dall’altro e, al centro, le vittime – e scandito da una egualmente canonica alternanza di pagine drammatiche e comiche, di dolore e di gioia, fino al catartico e stucchevole riscatto finale, lontano dal paese natio, nella salvifica Francia, davanti al Centre Pompidou. Una discesa e uscita dagli inferi telefonata, quella del clown e dei suoi ragazzi: i disegni che introducono e sintetizzano proletticamente i vari episodi sarebbero stati sufficienti a narrare le loro avventure. L’indignazione, così insistentemente e pleonasticamente verbalizzata, suona fasulla, così come posticcio è lo sguardo gettato sul microcosmo dei ragazzi di strada di Bucarest: pauperismo e miserabilismo laccati figli della retorica delle buone intenzioni ostentate. E’ un cinema incapace di mettere in immagini e in racconto una realtà degradata se non “riducendola” (e anestetizzandola) in virtù della “tesi”, o del “messaggio”, sposata o da trasmettere: ciò che doveva essere un pugno allo stomaco, diviene così l’ennesima favola della buona notte con cui lavarsi la coscienza permettendo al pubblico di fare altrettanto. Dal neorealismo al neorealismo rosa, dal neorealismo rosa al “neorealismo in posa”. Una Parade, appunto.
