TRAMA
Aiutato dall’avvocatessa che lo difende, la bellissima Nancy (Kelly Lynch), Michael Bosworth (Mickey Rourke) fugge dal tribunale in compagnia del fratello Wally (Elias Koteas) e dell’amico Albert (David Morse). I tre fuggiaschi, attirati dal cartello “in vendita” piantato davanti a una villa, si introducono nella casa e prendono in ostaggio la signora Cornell (Mimi Rogers). Uno dopo l’altro e ignari di quello che sta succedendo, rincasano gli altri componenti del nucleo familiare in crisi: il padre Tim (Anthony Hopkins), il figlioletto Zack e la figlia adolescente May (Shawnee Smith). Saranno tutti costretti ad aspettare l’arrivo di Nancy, che nel frattempo è tallonata dalla polizia, capitanata dalla detective Chandler (Lindsay Crouse).
RECENSIONI
Non indimenticabile remake dell'omonimo film di Wyler che introduce tuttavia alcune interessanti variazioni al plot originale. Se nel film del 1955 la famiglia aggredita dagli evasi era smaccatamente esemplare (capofamiglia tutto d'un pezzo + moglie/madre devota + figlia rispettosa + figlioletto non smidollato), nella pellicola di Cimino il nucleo familiare è letteralmente disgregato: il padre si rifà vivo dopo essere scappato via con una ragazza "che ha la metà dei suoi anni", la madre non ha praticamente alcuna autorità sui figli e questi sono o sfacciatamente strafottenti (la figlia) o lagnosamente indifesi (il figlio). Allo sfaldamento del nucleo familiare corrisponde la parziale lacerazione dell'impianto spaziale: la rigorosa e opprimente unità di luogo dell'originale è squarciata da dirompenti sequenze en plein air (non soltanto l'ariosissimo incipit, ma soprattutto la morte "western" di Albert) e da un maggior approfondimento delle dinamiche poliziesche. È qui, difatti, che si colloca l'innovazione più apprezzabile del nuovo "Ore disperate": la figura della tosta e perspicace detective Chandler (nome che non mente) dà al film quella grinta e quell'amarezza che l'impronta spettacolare e una regia eccessivamente disciplinata rischiavano di precludergli. Onore a Lindsay Crouse, dunque.
