Recensione, Thriller

ORE 11:14 – DESTINO FATALE

Titolo Originale11:14
NazioneU.S.A./ Canada
Anno Produzione2003
Genere
Durata86'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

11.14 p.m.: nella piccola cittadina di Middleton le vite di alcuni abitanti vengono irrimediabilmente sconvolte da eventi, apparentemente casuali, in realtà collegati da un sottile filo rosso.

RECENSIONI

Il cinema ha l'incredibile potere di frammentare il punto di vista permettendo allo spettatore di godere di un'invidiabile ubiquità. Una vicenda può essere quindi scomposta ("Memento"), sdoppiata ("Sliding Doors", "Smoking", "No Smoking"), moltiplicata ("Lola Corre"), stravolta (il nostrano "Amnesia ma soprattutto "Pulp Fiction"), vista da più parti (dal classico "Rashomon" al recente "Basic"), reiterata ("Ricomincio da capo", "Cinquanta volte il primo bacio"), raccontata al contrario ("Irreversible") o dribblando la scansione temporale ("Ritorno al futuro" su tutti), e personaggi che non si conoscono possono essere portati dal fato ad incrociarsi e/o sfiorarsi con esiti imprevedibili e risolutivi ("Tredici variazioni sul tema", insieme a una moltitudine di altri titoli). Il novello demiurgo Greg Marcks (classe 1976) si inserisce in questo filone, ricco di variabili e opportunità, e prova a rinvigorirlo attraverso una sorta di commedia nera degli equivoci, dove la sonnecchiante provincia americana diventa l'epicentro di una devastante reazione a catena. Se Marcks dimostra di divertirsi un sacco a giocare con la sorte dei suoi personaggi, non riesce però a trasmettere il suo entusiasmo, e i continui rimbalzi causa-effetto mostrano quasi subito la corda. È troppo perfetta la geometria che li anima, finalizzata unicamente ad alimentare uno stupore in perenne stand-by e, cosa più grave, non esiste una vera progressione in grado di aggiungere tasselli effettivamente sorprendenti. Sì, è vero, la descrizione di ogni quadretto si dilata per gradi attraverso l'infittirsi dei dettagli, ma il gioco ad incastri prende il posto del mistero senza, alla base, il supporto di una consistente solidità narrativa. Personaggi dal respiro corto movimentano così un teatrino di mesta umanità che pesca ancora nel pulp (uh!) e sdrammatizza il thriller con una comicità smargiassa, mancando il bersaglio dell'ironia. L'obiettivo della circolarità viene raggiunto, ma al prezzo di una compiaciuta gratuità, poco ravvivata dalla regia nonostante l'incedere del ritmo e una fotografia dai ricercati toni lividi. Anche il frullato musicale di jazz, country e sonorità latine, è più originale che effettivamente azzeccato e, anzi, aumenta il distacco nei confronti dello schermo, contribuendo a non prendere sul serio i personaggi e il loro grottesco destino. Tra i volti che popolano la cittadina di Middleton si riconoscono una fugace Barbara Hershey, un Patrick Swayze più bolso che mai e una sprecata Hilary Swank (anche tra i produttori esecutivi). Il retrogusto è quello di un cruciverba tirato per le lunghe.