TRAMA
Un ladruncolo ruba la testa del buddha Ong-bak dalla gente di un villaggio che, disperata, manda a cercarla Ting, pio allievo di un maestro che gli ha insegnato la micidiale arte di combattere del Muay-thai. Questi si ritrova a lottare in incontri organizzati dal boss del ladruncolo.
RECENSIONI
È nata una nuova leggenda dei film di arti marziali. Poco importa se la trama puerile è un puro pretesto (del resto è spesso stato cosi, vedi le pellicole con Bruce Lee) e se la regia di Prachya Pinkaew è fin troppo esibita sia nel sottolineare (replay compresi) le acrobazie di Tony Jaa, sia nell’inserire, in un plot epico, l’immancabile spalla comica e gratuite/effettistiche sequenze spettacolari (vedi la rincorsa fra Ape car), perché Tony Jaa è fenomenale e i ralenti ne dimostrano l’arte nelle mosse e nelle acrobazie. A differenza di Jackie Chan, che è anche cinematografico, inventa cioè le sue esibizioni anche con l’ausilio di oggetti del profilmico, Jaa è un fenomeno tutto corporale, di fisicità atletica, una sorta di incrocio fra il magnetismo naturale di Bruce Lee e l’eleganza micidiale di Jet Li. Possiede una preparazione leggendaria nella sua disciplina, il Muay Korat (contraddistinta dall’uso di “guanti” fatti di corda). Il film, insomma, è una sciocchezza di buoni vs. cattivi, moralistici ritorni delle pecorelle smarrite all’ovile e Dio-Fede contro Dio-Denaro, ma, in stile Bruce Lee, contro Jaa pone un antagonista più pittoresco dell’altro, testimoniando le meravigliose, impossibili (ma senza trucchi) mosse dell’eroe. La versione occidentale (curata da Luc Besson), taglia la parte con la sorella di Muay: la vediamo, infatti, in overdose e non capiamo la situazione.