Musicale, Recensione, Sentimentale

ONCE

TRAMA

Dublino. Lui, lasciato dalla fidanzata e senza un vero lavoro, sogna di poter incidere un album. Lei, una ragazza dell’est europeo, fa piccoli lavori e vorrebbe riprendere a suonare il pianoforte.

RECENSIONI

John Carney ha affermato di aver voluto fare con Once un film originale quasi quanto un album visivo. In effetti la struttura dell'opera rispecchia questo intento, lasciando parlare i personaggi attraverso le canzoni e intendendo come riflesso quasi mai didascalico i momenti più puramente narrativi e drammatici. Quindi il film presenta la storia di un amore possibile tra due giovani (lui, disoccupato, aiuta il padre al negozio; lei, immigrata, con un bimbo da mantenere), ma che non si realizzerà mai, attraverso un'infilata di piccole situazioni scandite da momenti musicali. Nonostante si apprezzi il tentativo di deviare dalle conclamate e abusate formule narrative, attraverso l'adozione di un registro più libero e impressionistico, dal punto di vista puramente sostanziale il quadretto minimalista che ne scaturisce pare quello di un Ken Loach in minore, non particolarmente interessante né significativo. Il lato musicale poi, fatto di un folk intimista alla lunga lagnosetto, finisce col preponderare al punto da far sembrare il film una sorta di lungo video promozionale, svelando le radici del suo autore (ha diretto molti videoclip del gruppo The Frames di cui il protagonista di Once è leader). Molto apprezzato e applaudito non solo al Torino Film Festival, ma anche in altre rassegne (tra cui il Sundance).

Ogni film, si sa, nasce dalle scelte del suo regista: a questo proposito quelle di Carney sono davvero incomprensibili. Dopo aver visto Once ci si chiede perché si è voluto trasformare quella che sarebbe potuta essere un’opera dolce, toccante, l’ennesimo romantico avvicinarsi di due anime gemelle, in un prodotto lento e noioso. La sceneggiatura costruisce sin dal titolo un percorso che sembra portare verso l’inevitabile trionfo dell’amore: in questo senso si disseminano di continuo indizi rivolti allo spettatore, attinti dal repertorio tradizionale: lei, una piccola fiammiferaia dei nostri giorni, vende i fiori per la strada; lui, un artista sprovveduto, cerca di coinvolgerla nel suo sensazionale progetto, e, mediata dalle note delle sdolcinate canzoni di cui il nostro protagonista è (anche nella realtà) l’autore, scocca la scintilla, accompagnata dai soliti sorrisi, ammiccamenti, teneri pudori, presentazione alle famiglie. Il copione è già scritto, ma fa sempre piacere rivederlo, specie se i personaggi sono caratterizzati in modo discreto come in questo caso. Banale? Sicuro, ma almeno coerente. Eppure nel finale, in modo inspiegabile, tutto si rovescia: i motivi che portano i nostri protagonisti a fare le scelte che fanno restano nella mente di Carney che non ha voluto (o saputo) palesarceli. Il risultato è un film incoerente che prima pone enfasi sul tema dell’Incontro e poi lo smitizza saltando i passaggi necessari per giustificare la mossa audace: non si scende mai in profondità nei personaggi e li si piega a un disegno prestabilito che risulta quanto mai posticcio.
Insopportabili le canzoni che occupano quasi la metà dell’opera: al regista forse non hanno spiegato che un film e un concerto sono cose diverse e che vedere due personaggi che suonano, ripresi in una monotona dialettica campo-controcampo, dopo poco (molto poco) stanca. Oltretutto il protagonista spesso stecca in modo clamoroso.
La regia è monotona, le immagini poco curate e si pensa che basti una saltellante telecamera semiprofessionale per dare al film una cifra stilistica: purtroppo non è così. Le impurità del digitale se le possono permettere in pochi; nei lavori degli altri sono solo un fastidio in più.