TRAMA
Sulla via della vendetta a Lordsburg Ringo, abbandonato dal cavallo, in fuga dalla prigione, viene caricato dalla diligenza che ha appena fatto il pieno di passeggeri a Tonto. Geronimo è sul sentiero di guerra. I compagni di viaggio sono ben assortiti.
RECENSIONI
Il 1939 è stata una grande annata, così senza prendersi la briga di scorrere fino in fondo la pagina dell' imdbvengono alla mente Il Mago di Oz, Via col Vento, La regola del gioco e, ovviamente, una triade di lavori di John Ford: Stagecoach, Young Mr. Lincoln, Drums along the Mohawk.
Ombre Rosse è il definitivo trampolino per il lancio di Ford che torna al western dopo tredici anni e trova in John Wayne l'interprete perfetto di questo e molti dei film futuri. Storia ben nota, come sono impresse nella mente di tutti alcune sequenze o frammenti, la presentazione di Ringo Kid con il carrello ottico che va anche fuori fuoco, il pranzo con le divisioni dei passeggeri tra i benpensanti ed i reietti, l'attacco degli indiani e l'arrivo dei cavalleggeri. Quello che preme ribadire è anche, e soprattutto, la necessità di reinserire Stagecoach nel complesso dell'opera fordiana e puntare a due aspetti, non centrali ma potenzialmente fruttuosi.
Da un lato l'uso per la prima volta degli spazi naturali della surreale della Monument Valley che si intreccia con le dinamiche tra i personaggi e sollecita la penetrazione di senso nello sviluppo narrativo in genere. Non si tratta semplicemente di un compendio naturale -per quanto incredibile- alle umane vicende, è l'elemento di “materialità” a sconcertare, si facci caso ai parallelismi tra le scene in interni e quelle in esterni tutte segnate da un senso del quadro e da un bilanciamento dei chiari e del nero che lascia intendere quanto non “il paesaggio è un personaggio” ma sia il complesso di uomini e luogo a strutturare il senso profondo della narrazione.
Dall'altra parte ci sono i paralleli con un altro film del regista, L'Uomo che uccise Liberty Valance, con alcuni spettacolari rispecchiamenti, Tom Doniphon è Ringo (la casa che è da finire), la carrozza che diventa un polveroso ammennicolo, e per lasciare molto agli spettatori citiamo ancora la presenza del fantastico Andy Devine, il Buck di Ombre Rosse. L'intero gruppo di attori è perfettamente ritmato come la scansione della vicenda in otto “episodi”, quattro di viaggio e azione, quattro stanziali.
Chi non sorride con John Ford?
Western archetipico in varie accezioni: all’interno dell’opera di John Ford che, per la prima volta, girò nella Monument Valley, fece un western sonoro e definì le coordinate di tutto il suo cinema di frontiera ‘storicamente leggendario’ a venire, con inedito approccio mitopoietico sulla fondazione di una nazione (meno inedito l’espediente del gruppo in pericolo: Nichols e Ford l’avevano già sperimentato nel precedente Uragano, da cui ritornano John Carradine e Thomas Mitchell); a livello di caratteri che rappresentano simbolicamente l’umanità intera o quella americana prossima a rendere civile il territorio (fondamentale, in questo senso, le figure femminili e il modo in cui ci si rapporta ad esse); quale modello e pietra miliare del genere, almeno quello “prima maniera”, fra indiani cattivi, personaggi anche caricaturali (certe macchiette di John Ford, purtroppo, invecchiano), avventure pericolose, eroi e donzelle (secondo Bazin, fu qui che il western raggiunse la sua forma classica). La sceneggiatura con dovizia di particolari di Dudley Nichols intreccia più racconti e situazioni ispirandosi ad un racconto breve di Ernest Haycox (tenendo in mente certi umori di “Palla di sego” di Guy De Maupassant); la messinscena di Ford è spesso magistrale fra profondità di campo, inquadrature e fotogrammi (giustamente famosa la sequenza dell’inseguimento della diligenza da parte degli indiani). L’ironia non è fine a se stessa ma gustoso sarcasmo (l’associazione puritana di zitelle che ha cacciato la prostituta, le figure del medico ubriacone, del timido commesso viaggiatore, del losco banchiere) e l’evoluzione dei caratteri nel pericolo non è scontata. Martellante, ripetitivo (anche troppo) il commento sonoro. John Wayne, fortemente voluto da Ford come protagonista, nel ruolo di Ringo divenne una star anche grazie alla macchina da presa di Ford che lo esalta ma l’Oscar per l’interpretazione lo vinse il ‘doc’ di Thomas Mitchell. Altro titolo italiano: I Nove di Dryfork City.