Noir, Recensione, Thriller

OCCHIO INDISCRETO

Titolo OriginalePublic eye
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1992
Durata99'

TRAMA

New York, 1940: Benzini è un fotoreporter freelance eccezionale, sempre al posto giusto al momento giusto. Fa l’errore, però, di innamorarsi di una donna che lo trascina in un affare losco.

RECENSIONI

Ispirato alla figura del fotoreporter Artur Felling, detto “Weeggee”, della cui opera Franklin riporta bellissimi dettagli, il personaggio interpretato da un grande Joe Pesci permette al regista/sceneggiatore di dissertare sul ruolo dell’artista (anche attraverso le confessioni di una procacissima Barbara Hershey), destinato alla solitudine (l’amico ammonisce Benzini sulla mancanza d’affetto cui è votato) o all’indifferenza del pubblico sulle sue creazioni. Benzini cade nel ruolo di innamorato, diventa romantico Cyrano in una sorta di Bella e la Bestia (oltre ad essere sgraziato, è anche chiamato “animale” per i soggetti crudi che ritrae) in cornice noir fra ambientazione anni quaranta, indagini private e donna fatale: il racconto d’amore è tenero, l’intrigo un poco confuso, l’intreccio abbastanza risaputo ma si riscatta con le tracce del sottotesto, centrato anche sul rapporto fra realtà e suoi duplicati. Benzini è un furbo paparazzo che fa leva sull’edonismo altrui, possiede un’etica da neutrale pronta a stravolgersi per amore, ha una tecnica infallibile da “public eye” per “esserci”, il suo stile istintivo gli fa impugnare la macchina fotografica anche nelle situazioni più drammatiche, come fosse un’estensione del proprio corpo, e “manipola” l’oggetto dell’occhio meccanico come atto creativo (la bottiglia in mano all’ubriaco) per restituire fedelmente lo spirito del “quadro”: il suo capolavoro (che, come ogni capolavoro, nasce da un “atto d’amore”) sarà ritrarre “durante”, né prima né dopo (ottima l’idea dell’autoscatto). Scritto e girato talmente bene che a Franklin si perdonano volentieri quella specie di “scavalcamento di campo e prospettiva” quando il boss Spoleto entra in macchina e la scena un po’ incredibile della confessione a tutto campo del doppio-giochista. L’autore si riscatta anche con vari tocchi di classe: le soggettive del cine-occhio in bianco e nero e al ralenti; il raccordo fra scena della strage e sue fotografie: un’inquadratura della fissità della morte che pare un’altra istantanea; la sequenza finale dove Benzini dice all’amico “Non si spegne mai” e, più che alla radio, pare riferirsi alla violenza, al dolore ritratto nei volti delle persone che ha immortalato.