TRAMA
Anno 2077, dopo l’invasione aliena e la guerra nucleare la Terra è stata contaminata. Jack Harper è un riparatore di droni, i robot che garantiscono il recupero delle ultime risorse idriche del pianeta. Con lui c’è solo la collega e amante Vika Olsen. E gli ostili Scavengers che tentano di sabotarli. Il compito di Jack è quasi finito: tra due settimane gli ultimi umani emigreranno su Titano…
RECENSIONI
Avvertenza in tre parole: recensione contiene spoiler. Tratto da un racconto di dodici pagine di Joseph Kosinski, già graphic novel inedita, Oblivion è in primo luogo un cocktail di citazioni, come la maggioranza della sci-fi americana 2013, peraltro enumerate dallo stesso regista: i classici ci sono tutti, dal sempre seminale Io sono leggenda di Matheson (Kosinski ama la trasposizione The Omega Man di Sagal, 1971) a Blade Runner, passando per la navicella che precipita nel film e che - guardacaso - si chiama Odyssey. C’è la serie The Twilight Zone, confessa sempre Kosinski, e aggiungiamo noi soprattutto il famoso episodio 1x08 Time Enough at Last (Tempo di leggere) del 1959: qui un impiegato di banca è l’ultimo uomo sulla Terra (!) e passa il tempo a leggere come unica consolazione... se mettiamo che la prima svolta di Oblivion arriva quando Jack raccoglie un libro (I Canti di Roma Antica di Thomas Babington) nella ex Public Library di New York, allora l’omaggio è palese. Senza contare tutte le allusioni visive, in particolare le forme degli oggetti in scena (il drone è un robot à la star wars, la navicella di Jack un velivolo post top gun), e le citazioni più o meno subliminali: Vika Olsen che ripete lo slogan “Another day in paradise” come il pezzo di Phil Collins dedicato agli homeless, ovvero le persone senza casa, ovvero Jack e Vika ultimi sulla Terra... Il gioco è divertente, ma (forse) stiamo divagando. Il punto è che i link ad “altro” sono dichiarati - anche inconsciamente - e, proprio perché aperti e sfacciati, non provocano particolari pruriti. Anzi diffondono il sospetto di un Kosinski cinefilo, cresciuto a pane e science fiction, anche se talvolta di grana grossa.
A uno sguardo più sostanziale, Oblivion suona come un compromesso. L''accordo' in questione è quello tra il fantastico d'autore degli anni zero e le esigenze basse del blockbuster Usa, accordo perfettamente raggiunto. I referenti alti di Kosinski sembrano due: Moon di Duncan Jones, da cui è ripresa la carta della clonazione come terreno per preparare il colpo di scena (oltre all'ambientazione nella base spaziale, qui base terrestre); il ricorrente Eternal Sushine of the Spotless Mind che lascia ancora le sue tracce, come in tante love story successive, nell'amnesia sentimentale del protagonista, con la fondamentale differenza che Jack cancella Julia non di sua volontà ma per imposizione di un'autorità esterna. Il polo opposto è l'action più spendibile che si dispiega in scontri, spari, esplosioni e rispetta tutta la grammatica del caso. Quindi, in una sorta di doppio binario, per 126 minuti si naviga tra echi jonesiani e gondryani da una parte, fantascienza facile e immediata dall'altra: la seconda prevale nettamente ma a tratti la complessità fa capolino, disegnando un risultato a suo modo peculiare. Per il resto abbiamo un lungo corollario di genere tra sonni criogeni e strane curve dell'intreccio, come Jack che raccoglie il libro e viene selezionato dagli Scavengers in quanto 'diverso dagli altri' (solo per un libro?). Ma è sci-fi spudorata e anche l'ingenuità ci può stare.
In terzo luogo, Kosinski scrive un nuovo capitolo nella lunga storia del cruise movie. Tra l'altro, qui, l'uso del 'corpo Cruise' è pensato in modo più intelligente e scettico di altre occasioni: gli vengono riservate in tutto due modalità, avvolto nella tuta spaziale/completo yankee con cappellino da baseball, entrambe pesantemente segnate dall'overaging dell'attore (Cruise ha 51 anni) che è troppo vecchio per interpretare un eroe del genere. Altro indizio decisivo è la scena in cui Jack incontra il suo clone, Cruise si sdoppia in una sequenza iconica/ironica che potrebbe - al secondo livello - insinuare l'inverosimiglianza dello stesso totem cruisiano (d'altronde Cruise punta la pistola a... Cruise in un vicendevole minacciarsi l'un l'altro). Dall'altra parte, quando arriva l'esibizione del 'Cruise attore' la faccenda non regge più: i primi piani e le celeberrime espressioni intense di Tom restano irricevibili da svariati punti di vista. A completare il pacchetto le altre dignitose interpretazioni (ennesima macchietta del cattivo Freeman), la musica diegetica scontata (su tutto Led Zeppelin e Procol Harum) e la soundtrack degli M83, che non sono i Daft Punk di TRON: Legacy e si sente. La cosa migliore è la splendida fotografia di Claudio Miranda che regala riprese memorabili (si prenda la scena della piscina sospesa, oggettivamente 'bella'), osservazione - questa - che è anche l'occasione per segnalare il mancato 3D: la rinuncia alla stereoscopia, laddove c'erano parecchie occasioni ottiche per sfruttarla (i volteggi perpendicolari di Jack, la prospettiva della Luna distrutta) si offre quasi come forma d'umiltà e aumenta la sensazione di fantascienza d'antan. Tutto sommato, un buon compromesso.