TRAMA
L’ornitologo Fernando rischia di affogare durante un’escursione in canoa e viene salvato da due ragazze cinesi, in pellegrinaggio verso Santiago di Compostela. Durante la notte alcuni umani vestiti con abiti variopinti danzano nel bosco vicino…
RECENSIONI
"Gesù disse: - colui che cerca non desista dal cercare fino a quando non avrà trovato; quando avrà trovato sarà turbato e, se sarà turbato, si stupirà e sarà Re su tutto"
Vangelo Copto di Tommaso
1. L'occhio di falco
Il cosmo da una parte, l’uomo dall’altra. In mezzo scorre il fiume nel quale si bagna Fernando, l’ornitologo del film di João Pedro Rodrigues, uno spirito che si allontana dal mondo, e dal proprio corpo, per prepararsi a ritornarvi sotto differenti spoglie.
O Ornitólogo descrive l’avventura di Fernando verso la scoperta di una nuova identità o, meglio, verso la realizzazione di ciò che veramente si è, attraverso la sperimentazione di un doloroso scontro dialettico. Per raggiungere l’unità del sé, Fernando dovrà fare esperienza della dualità nel mondo, a cominciare dall’emergere dei conflitti di sguardo tra soggetto osservante e oggetto osservato che, in misura considerevole, marcano il procedimento filmico dell’opera.
Gli occhi dei volatili studiati da Fernando, infatti, sono in grado di cogliere la manifestazione definitiva di quest’ultimo (il corpo rivelato corrisponde a quello del cineasta João Pedro Rodrigues, al tempo stesso autore del percorso di metamorfosi e veicolo fisico del suo compimento) e di ricomporre la sua figura in un disegno universale onnicomprensivo (l’utilizzo insistito delle action-cam per le soggettive aeree, con i loro inconfondibili fish-eye, suggerisce l’unificazione in un campo spalancato di ambiente e corpo, di microcosmo umano e macrocosmo naturale).
Dalla parte opposta, invece, l’ornitologo osserva le cicogne e le aquile a distanze considerevoli (l’occhio del teleobiettivo insiste proprio sulla non prossimità del soggetto rispetto al mondo, sulla sua ossessione per i dettagli, sull’indugiare in particolari slegati e disconnessi all’unità cosmica), rivelandosi come corpo estraneo allo spazio attraversato. Il confronto/scontro qualitativo dello sguardo, che identifica Fernando come entità separata, viene enfatizzato dalla presenza di elementi che collocano la provenienza del protagonista in un contesto, appunto, alieno: il fuoristrada, che vediamo talvolta posizionato nel lato destro del quadro, talvolta nascosto da un arbusto; il cellulare, che l’ornitologo usa per restare connesso al proprio mondo (la prima e ultima conversazione che Fernando riuscirà a intrattenere con il proprio compagno, prima di perdere ogni possibilità di contatto, sarà proprio all’inizio del film); il kayak, con il quale esso abbandona la terraferma per dare via alla svolta.
In questa prima parte, caratterizzata da uno stile assorto e contemplativo (ci perdiamo a osservare le cicogne e il loro perfetto, armonico, programma biologico), Fernando è al principio di un processo d’iniziazione: affinché la sua identità possa emergere, è necessario andare alla deriva, perdersi, naufragare verso l’ignoto e separarsi, dolorosamente, dal proprio microcosmo d’appartenenza, da quella civiltà che, fino alla fine, resta di là dai margini del quadro.
Diventare ciò che si è
Il pellegrinaggio dell’ornitologo Fernando segue le orme di quello di un suo lontano omonimo del XII secolo, l’uomo che fu santificato da Gregorio IX con il nome di Antonio. L’evento storico dell’arrivo del santo in Italia è stato raccontato in vari modi: in alcune versioni si narra di un viaggio compiuto dal portoghese verso il Marocco[1] e di un naufragio rovinoso che lo costrinse a sbarcare presso Milazzo; altre voci, invece, parlano di un ritorno verso il Portogallo interrotto da una tempesta che trascinò la sua imbarcazione verso le coste della Sicilia [2].
Quale sia la versione più attendibile dei fatti, non ci interessa; è importante però sapere che questo evento costituì il compimento di un percorso di trasformazione che vide l’agostiniano Fernando diventare il francescano Antonio.
Gli episodi del film che, poco a poco, descrivono l’avventura mistica di scissione e rinascita, sono molteplici. Partendo dall’incontro con una coppia di viaggiatrici cinesi dirette a Santiago de Compostela (il loro rapporto si ammanta di “sacro” quando vediamo una delle due leccare la ferita sul ginocchio della compagna, riferimento a Santa Caterina da Siena che, in un celebre dipinto di Francesco Vanni, appoggia le labbra al costato sanguinante di Gesù), le quali cercheranno di evirare Fernando per accelerare violentemente la sua iniziazione (“ancora non conosci il tuo cammino”, gli viene detto), passando per lo spettacolo della festa pagana mirandese in maschera (che segue il ritrovamento, da parte di Fernando, del proprio documento d’identità manomesso, ovvero senza impronte digitali e con la foto irriconoscibile), fino a giungere alla rinuncia definitiva ai propri legami (tutti gli oggetti che ancora incatenano il protagonista alla sua metà morente: il cellulare, le medicine, la mappa…), Fernando si trascina in un cammino che lo prepara a ritornare nel mondo con una consapevolezza rinnovata.
Rodrigues, nella sua ispirata revisione sincretica di miti, ritualità pagane e narrazioni evangeliche, insiste particolarmente sull’esplosione della dualità del soggetto all’apice della crisi d’identità, configurando verso l’esterno il conflitto esistenziale di Fernando sia nel doppio Jesus/Thomas (Tôma’ in aramaico significa “gemello”; nel Vangelo di Giovanni, testo scritto in greco, si aggiunge il sostantivo Didymos, che ha lo stesso significato), il quale, nel pre-finale, si dispera per la propria dolorosa separazione dall’unità archetipica con il fratello (“Jesus era l’altra mia metà”, dice. “Adesso sono la metà di niente”), sia nella duplice morte del protagonista, condizione necessaria per la rivelazione della nuova coscienza
Dal buio del tortuoso percorso nella caverna dell’inconscio, Antonio riemerge separato dal vecchio sé (evocato, probabilmente, dall’inquadratura del volatile morto sul ciglio della strada) in compagnia di Thomas, anch’esso finalmente sciolto dal legame con il proprio doppio. L’esito della lunga gestazione trova la sua realizzazione nella gioiosa passeggiata alle porte di Padova: Antonio è finalmente venuto al mondo.
[1] Piero Lazzarin, voce Antonio da Padova, in Il libro dei Santi – Piccola Enciclopedia, Edizioni Messaggero, Padova 1987