TRAMA
Odin è la star della squadra di basket del liceo e il fidanzato della figlia del preside, la bella Desi. Il figlio dell’allenatore, Hugo, non è troppo soddisfatto della situazione…
RECENSIONI
Otello al liceo coi nomi storpiati: sai che trovata, verrebbe da dire. E invece l’idea di base non è malvagia: battaglie navali sostituite dal campionato scolastico (l’allenatore è, non a caso, il reduce Sheen), un eroe temprato non dalle guerre ma da un’infanzia nel ghetto, una macchina infernale alimentata da gelosia, razzismo, droghe e paranoia (non necessariamente in quest’ordine). Il tratto più rilevante della riscrittura è la centralità affidata a Hugo/Jago, protagonista a tutti gli effetti, Coro della vicenda, voce off, figura eternamente defilata anche negli affetti familiari, burattinaio onnipresente (come nell’opera verdiana) e marionetta fin troppo fragile, cantore funebre legato a filo doppio al nemico che ha scelto. (Due) O come nought (zero, nullità): la vita, racconto di un povero idiota, trova nel cerchio (le fasi di gioco, l’architettura scolastica, l’orologio, gli anelli concreti e metaforici della narrazione) l’equivalente della propria tragica vanità. Il problema [(falso) paradosso] è la sceneggiatura: Brad Kaaya ricalca le scene madri del dramma elisabettiano (semplificando molte situazioni), ma sostituisce al dialogo originale un mefitico intruglio a base di stereotipi, grevità e lapalissiane metafore ornitologiche (non manca il doveroso ammiccamento metatestuale). Di conseguenza, i personaggi (soprattutto quelli femminili) risultano piattissimi e, nonostante ritmo e musica martellanti, gli eventi si susseguono con scarso nerbo drammatico. Sugli attori, poco da dire: Josh Hartnett cerca di rendere il carattere ferito e luciferino del personaggio, e nell’insieme se la cava dignitosamente, utilizzando un’espressività ancora acerba per tratteggiare un villain più dolente che cinico. Accanto a “colleghi” espressivi come buste senza indirizzo, rischia di sembrare un nuovo Laurence Olivier. Tim Blake Nelson dirige con eleganza non completamente impersonale e si concede blandi vezzi pubblicitari (specie nel montaggio) senza caderne vittima. Il problema è che nessun regista avrebbe potuto porre rimedio alla zuppa preparata in sede di script. Shakespeare non richiede “adattamenti”: o lo si fa come è scritto (magari cambiando ambientazioni e cassando personaggi ma senza omogeneizzare quelle parole che sono fondamentali, in particolare in Otello) o lo si usa come punto di partenza per inedite esplorazioni. In tal senso un recente, valido esperimento a partire dal Bardo è Bully di Larry Clark (inedito in Italia), fantasia (su Macbeth) mille volte più sconvolgente e divertente di questo lindo, didascalico, inevitabilmente precotto “O”.