TRAMA
Un’escapista, un prestigiatore, un mentalista e un mago delle carte vengono riuniti da un misterioso personaggio e allestiscono show dal forte impatto spettacolare, durante i quali rubano ai ricchi per dare ai poveri. F.B.I. e Interpol cercano di incastrarli, ma loro sembrano sempre giocare d’anticipo.
RECENSIONI
L’impossibilità di giungere a una spiegazione razionale affascina sempre. Pone in una situazione di sfida per cercare di capire come l’impossibile sia potuto accadere sotto i nostri occhi. La verità dietro al prestigio, però, ci allontana dal gioco. Il trucco c’è sempre, ma siamo sicuri di volerlo davvero scoprire? In pratica, guarda, intrattieniti e non porti troppe domande. Questo il postulato da tenere a mente per potersi divertire con il giocattolone imbastito da Louis Leterrier, regista cresciuto sotto l’egida di Luc Besson e approdato definitivamente al blockbuster a stelle e strisce prima attraverso L’incredibile Hulk e poi con Scontro tra Titani. Per un po’ il gioco regge, a partire da una presentazione briosa dei personaggi che sembrano godere di caratterizzazioni adeguate (mai prologo fu più lungo, i titoli di testa partono dopo un quarto d’ora dall’inizio del film).
Già con il primo show a Las Vegas qualcosa comincia a scricchiolare, ma la contrapposizione di uno smascheratore di professione (il carismatico Morgan Freeman) illude che di prestigio davvero si tratti. Prima del secondo colpo grosso a New Orleans subentrano però due personaggi che indirizzano il plot verso il thriller convenzionale, il poliziotto dell’F.B.I ruvido e incredulo, creato ad hoc per empatizzare con il pubblico, e l’agente dell’Interpol taciturna e sofisticata. Due caratteri, come da copione usurato, totalmente agli antipodi che racchiudono ogni contrasto possibile (uomo vs donna, America vs Francia, ragione vs sentimento, fisicità vs intelletto). Con l’incalzare del secondo spettacolo le crepe si ampliano ulteriormente, con una magia che diventa Giustizia e i quattro maghi che si trasformano sempre più in Vendicatori dei torti subiti dai più deboli. L’assurdo irrompe, ma il miliardario di turno umiliato pubblicamente, e le vittime di un capitalismo arrogante ripagate con gli interessi, fanno leva con furbizia su un sentiment molto diffuso di rivalsa nei confronti dei potenti. Quindi funzionano.
Da lì in poi, però, anche se si decide di restare al gioco, e il film ha sufficiente verve per consentirlo, non si può non restare delusi. È un po' il problema di molto cinema contemporaneo: fare in modo che le ragioni dei personaggi incontrino quelle dello spettacolo dall'inizio alla fine. Invece il più delle volte si bruciano ottimi presupposti nell'insensatezza. Anche perché, diciamolo, a spararle grosse sono capaci tutti, il difficile è sviluppare un'idea originale in modo coerente. Purtroppo in questo senso la sceneggiatura ha una caduta a perpendicolo forzando soluzioni e colpi di scena senza il supporto di motivazioni che durino più dello spazio di una battuta o di una sequenza.
Tra l’altro i quattro protagonisti perdono qualunque spessore e diventano un contorno al solito teatrino di ripicche tra poliziotti, inseguimenti, fughe rocambolesche, esplosioni e colpi di scena bislacchi. Per tacere del pre-finale a Central Park, di imbarazzante approssimazione, o della chiusa parigina, attaccata con lo sputo. Non aiuta la regia inquieta di Leterrier, con una macchina da presa che più che dinamica pare posseduta. Brutto anche l’utilizzo di effetti digitali come scorciatoia nei confronti della meraviglia. Peccato, perché il soggetto è brillante, il ritmo indiavolato, alcune battute ad effetto, gli interpreti in parte, l’effervescenza contagiosa. Ciò che manca è il prestigio. E, data la materia trattata, non è assenza da poco.