TRAMA
1989, tempo di maturità per un gruppo di amici…
RECENSIONI
Non è arrampicarsi sugli specchi della teoria ad ogni costo (il sospetto che io lo faccia può venire, in effetti) ma è lecito vedere in questo Notte prima degli esami un’operazione non priva di acume: mi pare evidente, infatti, che Brizzi, più che mettere in scena gli anni 80, in questo lavoro si proponga l’applicazione delle modalità con cui le cose venivano raccontate negli anni 80. Chi conosce certe serie televisive di quel decennio (I ragazzi della terza C - l’ambientazione scolastica, più che lo spirito – o I ragazzi del muretto – lo spirito, più dell’ambientazione – che è del 1991 ma rientra ancora a pieno titolo nel filone) o certi film (Sposerò Simon Le Bon, di cui consiglio la revisione, sembrandomi la pellicola più vicina a questa) non avrà difficoltà nel riconoscere (non le situazioni reali del periodo ma) certa mitologia istantanea e autodenigratoria che quel periodo ha creato di sé (“Te lo giuro sulla testa di Tom Cruise”: nessuno ha mai parlato così, ma è vero che nei prodotti citati era così che si parlava); insomma, in Notte prima degli esami non c’è un intento di ricostruire dei contesti realistici ma piuttosto quello di riproporre le forme rappresentative di un’epoca impiegandole in un racconto ambientato in quell’epoca (è in questo senso perfetta la definizione di “film-museo” che ne dà Giulio Sangiorgio, su Duellanti: una pellicola che si propone non come museo degli Ottanta, ma degli stilemi attraverso cui gli Ottanta sono stati ritratti durante gli Ottanta).
Notte prima degli esami è un film che rispetta, in questo senso, tutti i canoni cui mi riferisco: narrazione segmentata (tipica di un tempo in cui il televisivo cominciava a tracimare nel cinematografico) imperniata sulle vicende di un gruppo di ragazzi (amoretti che si intrecciano, piccoli e grandi drammi, amicizie etc) su uno sfondo paurosamente futile (non lo era in realtà, ma le poetiche di allora evitavano di proposito la complessità: volendo rispondere a Raf, degli anni 80 è rimasto molto, moltissimo – ci tocca rispondere a Raf, vabbè -), che riproduce vacuamente la (non è tautologia) vacua e mitizzante riproduzione del mood dell’epoca (coordinate temporali costanti e forzate – il muro di Berlino – e certi riferimenti di moda imprescindibili ma meno banali del previsto – il subbuteo, persino, e non le solite Timberland o l’immancabile zainetto griffato -), Kundera e l’edonismo reaganiano, la musica. E proprio il ruolo centrale della musica è un’altra applicazione esplicita di una modalità (brani che entrano nel tessuto diegetico, lo formano e lo condizioniano – a cominciare dalla canzone che dà il titolo al film -) e degli artisti in voga all’epoca: l’alba radiosa di Madonna, il maledettismo patinato delle lamette rettoriane (a suo modo geniale) e, naturalmente, i Duran Duran, gruppo chiave e simbolo affrettato di quel fantomatico vuoto (in realtà ottimi musicisti, eredi commerciali di un nobilissimo movimento musicale – le boy-band degli anni 90 da venire sarebbero state il vero nulla, nascendo esse in laboratorio -) qui citati con il loro brano manifesto Wild boys (il peggiore della band, tra l’altro).
Allo stesso modo, perfettamente aderente ai modelli è il tratteggio dei personaggi, disegnati quel minimo che serve a creare affezione nel pubblico, pochi elementi che definiscano il carattere, lo imprimano nella mente dello spettatore e gli consentano il gioco delle gratuite immedesimazioni (sia nel pacchetto ricompreso anche quello della nonna, personaggio improbabile per non dire falsissimo, come lo erano certe figure di contorno dei prodotti di allora); lo stesso dicasi della generale organizzazione degli intrecci, non banali tra l’altro (l’agnizione, anche per il pubblico: l’amata che scopriamo figlia del professore bastardo, tanto per dirne una) e sufficientemente avvincenti - c’è in palio un premio: la maturità (scolastica e sessuale) -: se si condisce il tutto con alcune partecipazioni studiatamente “ottantesche” (la Poggi, la Brigliadori, Faletti sono citazioni viventi) il gioco è fatto.
Ci si è accaniti su Notte prima degli esami (film certamente furbo, ma nel senso in cui lo erano i film cui si rifà, e che vive – bene - commercialmente sulla stessa placida onda) ma mi preme sottolineare che tale accanimento ancora una volta sbaglia obiettivo: i mali del cinema italiano non abitano certo qui poiché se detta operazione (italiana e che solo in Italia si può capire, tra l’altro) può essere poco interessante, rimane, nei fatti, il risultato di un percorso indiscutibilmente lucido che Brizzi dimostra di condurre con coerenza degna di nota.