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TRAMA
Sulla costa belga l’adolescente Pim si innamora del suo vicino di casa, Gino.
RECENSIONI
Ritratto dell’omosessuale da giovane, gender movie ma anche racconto di formazione, bildungsroman sulla propria identità sentimentale e sessuale. L’esordio al lungometraggio di Bavo Defurne espande l’universo concettuale e visivo dei suoi corti, soprattutto Campfire, e respinge la fuorviante etichetta del “film gay”: North Sea Texas si apre all’universale, dalla piccola costa belga dirama verso la dimensione complessiva di comunità e parla di tutti i sentimenti. Ambientata “qualche decennio fa” (così il regista nel pressbook), ma indefinita per mantenere un contesto atemporale, la pellicola segue l’educazione sentimentale di Pim e il suo rapporto con Gino: l’uno manifesta naturalmente la propria omosessualità, l’altro si finge etero e, alla maniera di Ennis Del Mar in Brokeback Mountain, prova a ridurre la questione di genere alle decisioni del singolo (Gino: “Si fanno delle scelte”). La dissonanza tra impostazioni dei ragazzi, dunque, li porta all’inevitabile separazione: si innesca lo schema classico della rottura, l’abbandono dell’amato, la lontananza, le peripezie sentimentali.
Non solo i due adolescenti, tutto il film si intavola come un dramma affettivo all’insegna del sentimento inevaso. Nessuno ha ciò che vuole, tutti ripiegano su altro: Sabrina vuole Pim, Pim vuole Gino ma questi è fidanzato, Yvette esce con Etienne ma vuole altro (“Lo fa solo per la sua macchina”), Marcella non ha nessuno, le donne scontano la scomparsa dei mariti (sulla loro assenza c’è un omissis); le figure secondarie non sono minori dei protagonisti, tutti hanno lo stesso valore in un livellamento narrativo dove fiorisce anche la metafora: ad esempio l’instabilità della madre di Pim, il suo vagare da un uomo all’altro, sembra emanare il vuoto affettivo che avvolge il figlio alla ricerca di identità. Storia di evidente estrazione letteraria, dal romanzo di Sollie da cui è tratta, e nutrita anche degli archetipi narrativi degli ultimi anni: la famiglia e la sua dissoluzione, l’abbandono da parte di madre (vedi Correndo con le forbici in mano di A. Borroughs, J.T. Leroy ecc.), la creazione di un nuovo nucleo (la “seconda famiglia” di Pim) e l’ipotesi di una diversa unione per il futuro.
Il legame Pim/Gino è sempre in primo piano. Quando l’oggetto amato si allontana, scatta il meccanismo di sostituzione: Gino viene riprodotto attraverso disegni (la bellissima scena nel pub: il ritratto si macchia di birra, Gino sbiadisce), rimpiazzato idealmente da un altro ramingo – il gitano Zoltan – come surrogato del desiderio, evocato dal doloroso feticismo di Pim (la collezione di oggetti). Dall’altra parte della barricata, la ragazza di Gino è ugualmente sostitutiva: se ne parla ma viene mostrata fugacemente, in una ripresa notturna quasi in dissolvenza, la sua fissità la presenta come cosa più che figura, maschera da applicare sulla propria identità. L’atto illusionista della sostituzione, però, non si compie mai del tutto: il sentire reale si intravede dietro un velo, per chi vuole vederlo, come testimonia la scena pre-finale con la madre di Gina che sbriciola la negazione sentimentale, facendosi artefice della congiunzione tra i ragazzi (le mani si toccano), confermando che lei ha sempre saputo.
Non temendo nulla (il film apre con un bimbo che si traveste), Defurne lavora sugli archetipi letterari per rivoltarli; il pub degli ubriaconi, la passeggiata sulla spiaggia, le foto ricordo e soprattutto il giro in moto dei protagonisti, grande topos della coppia etero, vengono riproposti e riletti in chiave gay, è questa lunica e fondamentale vena politica del regista: presentare lunione di due ragazzi ovviamente, secondo natura, senza altre parole né spiegazioni di sorta. E così che resta sempre sullo sfondo il contesto (nel romanzo sono gli anni Sessanta), accennando solo in una/due scene alla gabbia mentale della provincia, mai alla bassa estrazione e lavoro umile dei personaggi che è dato di fatto. Il regista preferisce sviluppare altri elementi, soprattutto visivi, come il paesaggio interiore delle Fiandre (lerba fluttuante al vento come gli animi dei protagonisti), e soprattutto dimostra unimpostazione stilistica già magistrale: di apparenza semplice e stilizzato, in realtà stratificato e complesso, è un lavoro che si muove tra cinema e letteratura offrendo rimandi interni, eleganti corrispondenze da leggere in filigrana (il laido meccanico che mangia sguaiatamente / la mano di Pim che segue la forma della rosa). Dirigendo ottimamente gli attori, con un Jelle Florizoone (Pim) semplicemente magnifico, il cineasta ci offre un finale coraggioso e cautamente ottimista: il bacio appassionato dei giovani, con ultima frase sfacciatamente melò (Resta con me), è un bacio di tutti, che suggella questo canto assoluto per la realizzazione affettiva. Senza appianare i drammi, i problemi, le difficoltà che arriveranno domani.
E stato catalogato come film gay perché è insolito vedere due ragazzi che si innamorano luno dellaltro, ma a nessuno viene in mente di chiamare Titanic un film etero. Lho voluto dedicare a tutti i ragazzini i cui genitori hanno impedito di partecipare: in questi tempi illuminati alcuni tabù restano ancora. Temo che avremo qualche problema nella cattolica Italia.
Bavo Defurne