Drammatico

NORIKO’S DINNER TABLE

Titolo OriginaleNoriko no shokutaku
Nazionegiappone
Anno Produzione2005
Durata159'
Sceneggiatura
Tratto daSuicide Circle: The Complete Edition
Fotografia
Montaggio
  • 56743

TRAMA

Noriko decide di andare via di casa alla volta di Tokyo per sentirsi finalmente libera. Verrà in contatto con una strana organizzazione tesa a rimpiazzare i parenti scomparsi con persone che si prestano a recitare quei ruoli. La sorella, Yuka, si metterà alla sua ricerca, seguita dal padre incapace di darsi pace per la scomparsa delle figlie.

RECENSIONI


“Feel the desert. Experience the loneliness. Feel it. Survive the desert. That is your role.”

Un filo rosso. Uno strappo, un cordone ombelicale che viene reciso via, un percorso a tappe che costruisce in Noriko's dinner table una circolarità in cui cambiano personaggi, slittano le identità, ma in cui sopravvive uno sviluppo coerente all'insofferenza, alla fuga dal nido paterno, per evitare un passato sicuro, modello per un futuro già disegnato, nitido nei tratti.
Un ritorno incompleto, una dissoluzione che si propaga come un'eco, sfruttando i corpi come superfici porose sulle quali innestare di volta in volta personalità differenti ad uso e consumo di luoghi affettivi lasciati vacanti. Ogni capitolo in cui è suddiviso il film trasmette la lettura personale, le voci fuori campo dei quattro personaggi rispettivamente Noriko, Yuka, Kumiko e Tetsuzo, raccordandosi nel finale con l'appendice intitolata Il coltello in tasca: un mosaico fatto di tessere plasmabili e interscambiabili, in cui danza senza posa il vuoto. L'elasticità e la fluidità, con cui Sion Sono affronta la separazione e il distacco, amalgamando passato, presente e immagini oniriche, accompagnano un racconto (c)orale in cui le voci non narrano, ma descrivono ed interiorizzano con distacco la pesantezza dello strappo, della separazione da sé.
Solo agli esseri umani è consentito addomesticare se stessi e decidere di farsi contenitori vuoti all'interno dei quali mille altre personalità e ruoli possono scorrere e fluire: per ogni parte mancata nella vita reale viene così predisposto un corrispettivo impeccabile e perfetto nell'interscambiabilità del gioco per poter finalmente essere figli integerrimi e affettuosi, difesi dalla distanza che si interpone tra la maschera indossata e la realtà.
Niente risulta casuale e niente può sfuggire ad una struttura tanto complessa e così tanto ramificata che si prende cura di colmare la solitudine umana e che promette così di esorcizzare il dolore, anticipando in questo l'ombra del Suicide Club.
La trappola che si ciba dell'emulazione dei rapporti sociali reali per renderli inattaccabili e inossidabili affonda le proprie radici nella mancanza, nel disequilibrio e nello spaesamento che ne deriva, sia questo insofferenza adolescenziale verso la famiglia (Noriko), voglia di riscatto e vendetta (Tetsuzo), pura curiosità (Yuka) o senso d'abbandono (Kumiko).
Non vengono messi in crisi direttamente i poteri forti, ma li si attacca lentamente dai lati facendo leva sulle debolezze e su quanto corrisponde al lato più fragile dell'animo umano, la mancanza e l'imperfezione. Rimuovendo il dramma e recitando la parte di sé fuori da sé inizia a strutturarsi un nuovo sistema, una nuova organizzazione nella quale, clienti e attori rimangono invischiati nello stesso labirinto: viene motivata una dipendenza strategica dalla finzione che s'impossessa di tutto ciò che fino a quel momento era possibile (forse) chiamare reale. Anche la narrazione soffre di quest'oscillazione, frantumandosi in un finale scomposto fatto di pallidi riflessi di un qualcosa che da tanto ambito, risulta probabilmente essere solo passeggero se non addirittura fittizio.
Qualcosa resta e qualcosa si perde, qualcuno decide di tornare a casa e qualcuno si rimette in cammino.
Ma come giustificare a se stessi la finzione, unica linea guida di quella sbiancata rifrazione che è diventata la realtà, se non accettandola di buon grado?