Fantascienza, Horror, Recensione, Streaming

NOPE

Titolo OriginaleNope
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2022
Durata130'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

California, oggi. Dopo l’improvvisa morte del padre, i fratelli OJ ed Em Haywood ereditano il ranch di famiglia e cercano di mantenere viva l’attività paterna, che consiste nell’addestrare e gestire cavalli per produzioni cinematografiche e televisive. Le difficoltà economiche costringono OJ a vendere i cavalli a Jupe, direttore di un parco a tema western, ma l’improvvisa comparsa di una presenza extraterrestre si trasformerà in una ghiotta occasione per arricchirsi e risollevare le sorti dell’attività.

RECENSIONI

How exquisitely stupid is that?

Nope; negazione, rifiuto, opposizione categorica. Lo slang chiude foneticamente il termine con una p, consonante che non ammette replica. Nop(e), no. Punto. E quindi: non essere visto, non essere guardato. Non (poter) guardare. Non (poter) guardare in alto: Don't Look Up. In una realtà che non esiste (più), in un mondo scivolato nella sua rappresentazione complessa e inafferrabile, sopprimere lo sguardo significa oscurare il conoscibile, alzare le mani, arrendersi all'impossibilità di comprendere il presente, non importa se attraverso l'esercizio naturale dei propri occhi o tramite la moderna tecnologia.
Se nella satira di Adam McKay la realtà veniva celata dietro lo spettacolo e trasfigurata in un torrenziale e demenziale entertainment dove l'apocalisse si rendeva incomunicabile (e quindi non visibile), perché disinnescata continuamente dall'ironia, in Nope la realtà, che pure è spettacolo e in quanto tale richiede di essere guardato, non esiste al di fuori delle immagini: il western è l'archetipo, la realtà ridotta a fantasmatico parco a tema, al cui interno si cela perfino un museo privato capace di contenere e sublimare una surreale tragedia del passato; la fantascienza è il genere dell'incredibile, della meraviglia, dell'extra-ordinario, delle immagini impossibili. È, per l'appunto, il genere dello spettacolo, quello che più e meglio di tutti gli altri è legittimato a rendere visibile l'ignoto. E ancora, se il western è il territorio del pubblico, la terra di coloro che guardano, la fantascienza è l'universo verso cui volgere lo sguardo, la realtà da catturare, imprigionare e in ultima istanza far fruttare economicamente: ché oggi le immagini dello spettacolo, nella loro capacità di rendere visibile ciò che non esiste o che non si può guardare, sono merci preziose e nella logica capitalistica dell'entertainment, valgono una fortuna.

Con questo blockbuster ambizioso e densissimo di suggestioni teoriche al tempo stesso evidenti e stimolanti sulle quali in questi giorni si stanno giustamente scrivendo molte pagine (e tante altre se ne scriveranno: è un film che resterà), Jordan Peele porta alle estreme conseguenze sia gli indizi meta-cinematografici già presenti in Scappa (il Luogo Sommerso, la colonizzazione dei corpi come spazio spettatoriale) sia alcune delle riflessioni politiche sulla realtà come simulacro (cito e rimando alla straordinaria analisi di Baratti, al link) di Noi, riuscendo nel miracoloso obiettivo di costruire un'opera capace di riflettere apertamente su se stessa e sul ruolo dello sguardo nella contemporaneità, senza però rinnegare le logiche narrative ed economiche che le appartengono, senza neppure insistere sugli abusati artifici dello svelamento ironico e della decostruzione ludica post(post)moderna. È un film serissimo, Nope (finalmente!), e guai a scambiare lo scontro finale per una baracconata o un'esasperazione narrativa: nella guerra delle immagini (to shoot: filmare, ma anche sparare), un'immagine impossibile val bene una vita (nota a margine: le challenge estreme che proliferano su TikTok e Instagram sono poi così distanti?).

Insomma, in questa messa in abisso dello sguardo, in questo film liminare e sostanzialmente inclassificabile (saggio teorico o divertissement? Respingente opera-con-autore o blockbuster estivo per il grande pubblico?), in quest'avventura western che guarda alla fantascienza, flirta con l'horror e infine gioca la sua partita meta-riflessiva a carte scoperte, cavalcando senza indugio verso inedite forme di rappresentazione e intrattenimento, in questo bellissimo e spiazzante Nope, finalmente, l'immagine torna al centro del discorso, portandosi appresso tutto il suo valore storico, presente, finanche politico ed economico. Perché perfino in un film stratificato come questo, Jordan Peele non ha smesso di interrogare il reale e di farne emergere le miopie. Se in Scappa l'horror veniva ricondotto, in modo trasparente ed efficace, alla sua dimensione di critica nei confronti della società e della condizione di subalternità e sfruttamento del corpo (involucro) afroamericano, e se Noi era «un film politico non nel senso banale del termine (rappresentazione militante di antagonismi sociali), ma, molto più sottilmente, è politico nel senso dell'immaginario, poiché intende restituire alle immagini l'efficacia simbolica perduta» (cito ancora Baratti), in Nope, similmente, ciò che viene messo al bando è proprio il nostro sguardo in relazione alle immagini del cinema e dello spettacolo; ciò che viene ridiscusso è proprio il processo di storicizzazione del nostro guardare e rapportarci con le immagini, intese come sintesi rimodulate della realtà.

Da qui il duplice ribaltamento, politico e cinefilo, cinefilo e quindi politico, che ancora una volta passa attraverso un rimosso, un non visto e non guardato della Storia: nelle famose fotografie di Eadweard Muybridge alla base degli studi sul movimento delle immagini, abbiamo sempre guardato il cavallo, ma del fantino nero non conosciamo neppure il nome. In questo senso, lo spettrale ritorno di Otis Jr. nel finale - fantino nero sul cavallo che ha guidato il movimento durante tutto lo scontro con l'alieno - incorniciato (fotografato) da Peele sotto l'insegna Out Yonder (laggiù), sembra volersi porre come ideale e possibile controcampo della Storia: guardiamo lui, ora. Nessuna sottolineatura necessaria, nessun  banale conflitto messo in scena: solo la forza politica e mitopoietica delle immagini, alle quali Peele sembra riconoscere finalmente la centralità del loro ruolo nella definizione e percezione della realtà.

E non è certo un caso che guardando Nope vengano in mente soprattutto autori che hanno saputo mettere al centro della loro poetica questa consapevolezza, questa  smisurata e straordinaria fiducia. Spielberg naturalmente, evocato sia a livello meramente narrativo (la struttura della caccia alla bestia è quella de Lo squalo, ma rovesciata: il cielo e non il mare, l'alto e non il basso, la fotografia e non le armi), che in quello più squisitamente teorico (la meraviglia dell'incontro ravvicinato del terzo tipo qui perde totalmente la sua infantile purezza, diventando immediatamente preziosa ed egoistica occasione di sfruttamento e arricchimento). Altrettanto evidente poi, è la derivazione herzoghiana di Antlers Holst, direttore della fotografia e documentarista alla ricerca della sfida, del sacrificio, dell'impossible shot, così come lo Shyamalan di Signs, chiamato in causa soprattutto nella materializzazione spudorata e antropomorfa dell'alieno, la quale, prima di risolversi nello scherzo, sembra per un attimo far scivolare il racconto verso l'horror (nota a margine numero due: la sequenza dell'alieno alla festa di compleanno nel film del 2002 è ancora una delle cose più genuinamente terrificanti del nuovo millennio e guarda caso si tratta di una sequenza in cui sono protagoniste le immagini di un notiziario e il terrore nello sguardo di uno spettatore: Shyamalan believes). E tuttavia, mai compare la benché minima ombra del citazionismo, mai il rimandare a questo o quell'altro film, a questo o quell'altro autore, finisce per innescare lo sterile gioco dell'evocazione di fantasmi. Peele infatti antepone sempre la discussione critica alla citazione appassionata, fa scontrare e dialogare le immagini e i sentimenti del presente e del passato, evitando accuratamente qualsiasi forma di nostalgia. E mira alla testa, prima che al cuore del pubblico, facendo di Nope un film che finalmente chiede di essere guardato e pensato, prima di essere amato.