TRAMA
Dopo la separazione dal marito, Léna cerca di affrontare al meglio la vita con i suoi due bambini.
RECENSIONI
Ancora la famiglia domina un film di Honoré, con una giovane madre all'epicentro del suo marasma e una costellazione di parenti-satellite che le gravita attorno e che innesca il gioco dei confronti e degli scontri, personali, generazionali, puramente e semplicemente umorali. E l'autore non ha alcuna remora, lui che la Nouvelle Vague sa bene cos'è, a far percorrere al racconto strade anticonvenzionali, ricorrendo a un narratore evidente (il vecchio padre che sfonda la quarta parete, nella prima delle due divagazioni dall'impianto naturalistico del lavoro), descrivendo, attraverso veloci siparietti, la sostanza dei rapporti tra i vari membri della famiglia, i loro caratteri, le loro idiosincrasie, le loro alleanze o conflitti. Léna è un'eterna adolescente e una madre irrisolta che ha paura di imporsi sui figli che ama molto e a cui dice sempre sì, con un fratello che la sfotte, una sorella che la schiaccia, una madre che la colpevolizza, un padre che la giudica, familiari che vorrebbero il suo bene senza interrogarla mai su ciò che lei effettivamente desidererebbe per sé. Mentre gli anziani genitori vivono il loro rapporto in maniera ancora dialettica e sessuale - una tendendo a dare ordine alle cose, l'altro sconvolgendo gli assetti consolidati - le coppie formate dai loro figli sono in grave crisi o forse no. Insomma, il panorama di questa famiglia è in continuo mutamento, non conosce una fisionomia stabile, teatro demenziale in cui i ruoli sono interscambiabili e quasi sempre nevrotici, comunque liberatoriamente ricoperti un po' da tutti, con un certo divertimento compiaciuto, ché la vita placida è anche noiosa.
Grande prova di scrittura, il film - composto di due blocchi principali (la campagna, la città) -, nel continuo rimare interno, rivela, decisivo quanto dimesso, il ruolo della natura - la foresta, gli animali, il fiume -, entità onnipotente che sottintende leggi fatali.
Come spesso avviene nel suo cinema un improvviso detour conduce il film sul terreno prediletto dall'autore della profanazione dei toni, del disinvolto scompaginare strutture narrative e aspettative spettatoriali: la favola bretone che il figlio narra a Léna si trasforma infatti in una parentesi narrativa in costume che, metaforizzandone il malessere, mitizza il personaggio principale, condensandone (forse) il percorso di vita e il destino.
Nel generale plauso a tutti gli attori, un riconoscimento particolare all'interpretazione convinta di Chiara Mastroianni che rende al meglio un personaggio problematico tratteggiato con straordinaria finezza.