Drammatico, Recensione

NON C’È PACE TRA GLI ULIVI

TRAMA

Ciociaria: Francesco Dominici e famiglia sono pastori senza gregge. La donna che Francesco ama, Lucia, è promessa sposa di Agostino Bonfiglio che, a quanto pare, gli rubò le pecore quando era in guerra. Va a riprendersele e finiscono tutti in tribunale, dove l’amata lo tradisce.

RECENSIONI

Con i fidi (dai tempi della rivista ‘Cinema’) Carlo Lizzani e Gianni Puccini alla sceneggiatura (cui s’aggiunge Libero de Libero, poeta di Fondi, Latina, come De Santis), il regista pone premesse saporite: con la sua stessa voce fuori campo, presentandosi come regista, introduce alle sue terre e racconta, aprendo l’occhio a 360 gradi con il pan-focus di Piero Portalupi, la Ciociaria e le sue montagne, i suoi pastori, il loro carattere e le loro esistenze, con un background storico di soprusi e popoli conquistatori che ne hanno forgiato la tempra. A seguire, un racconto “western” di ladri di bestiame, anche fuori tema: ma sono segni distintivi di De Santis il mix di generi e le intenzioni alte e basse con creatività, sebbene raramente sia riuscito a replicare la perfezione di toni, registri ed intuizioni di Riso Amaro: in questo caso, gli scompensi e le scelte stilistiche opinabili sono evidenti soprattutto nel modo di fare recitare i due amanti protagonisti, con Raf Vallone statuario ed impettito che guarda sempre l’orizzonte mentre parla con (a) Lucia Bosé. In un contesto realistico e terragno, verista-neorealista, cioè, il regista opta per stilemi teatral-brechtiani ed enfatici, con i due attori che, abbracciati, nel campo/controcampo finiscono addirittura per parlare direttamente (o quasi) alla macchina da presa. Mentre il soggetto filmico racconta “solo” di una vendetta e di un sopruso, poi, i personaggi compiono gesta incomprensibili e, in seguito, poco argomentate (la sorella che vuole/non vuole il cattivo Agostino; l’indecifrabile tradimento, in tribunale, dell’amata) e la scrittura non è da meno (per dirne una, il maresciallo che, nel finale, rassicura i presenti che il processo si rifarà, pur non essendoci evidenza che sappia anche solo minimamente che cosa sia accaduto). Peccato: le inedite ambientazioni colte dalla profondità di campo, lo sguardo originale su questa realtà, la sensualità che da sempre contraddistingue il cinema di De Santis (il ballo di Lucia Bosé fra gli ulivi) meritavano un copione e scelte di messinscena migliori.